Chiara di Assisi, una donna trasformata dalla carità divina

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La spiritualità di Chiara come quella di Francesco è destinata a non tramontare mai, perché affonda le sue radici nella perenne novità del Vangelo, nella cui osservanza è sintetizzata la sua Forma di vita. Pochi hanno intuito il senso profondo dell’esperienza di santa Chiara come l’allora cardinale Joseph Ratzinger, nell’omelia che pronunciò il 21 maggio 1989 presiedendo davanti al Crocifisso di San Damiano la celebrazione eucaristica della Professione solenne di una nostra sorella.

«La prima risposta di san Francesco al mandato del Crocifisso “Va’ e ripara la mia chiesa” erano le pietre e il denaro. Ma la Chiesa del Signore è una casa viva, costruita dallo Spirito Santo con pietre vive. La risposta seconda e definitiva – affermava il cardinale Ratzinger – viene dalla misericordia divina, viene dalla iniziativa personale dello Spirito Santo; la risposta è questa giovane donna che desiderava “di fare del suo corpo un tempio per Dio solo”. La casa di Dio viene costruita dalla carità senza riserve, da una vita penetrata dal Vangelo. Certo il primo Ordine, il cui scopo essenziale fu ed è una evangelizzazione non solo con parole, ma con una vita realmente evangelica, era ed è il grande “sì” di Francesco alla domanda che veniva e viene dalla croce: “Va’ e ripara la chiesa che va tutta in rovina”. Però, senza il segno della vita di santa Chiara mancava qualcosa di essenziale: si potrebbe pensare che la propria attività umana, il radicalismo della vita evangelica e la forza della nuova predicazione potrebbero riparare la Chiesa». La vita di Chiara e delle Sorelle povere, ieri come oggi, è indispensabile alla missione evangelizzatrice della Chiesa, sempre tentata dall’idolatria del “fare”: per essere efficace la Chiesa ha bisogno che alcuni suoi membri si ritirino “in disparte” nell’apparente inefficienza della vita contemplativa, per lasciarsi evangelizzare in profondità dalla Parola e diventare luogo dove la signoria di Dio può entrare nel mondo, per usare un’espressione cara a Benedetto XVI.

«Non è senza un significato profondo – continuava il cardinale Ratzinger – che santa Chiara viene chiamata a San Damiano: la fiamma del Vangelo è nutrita dalla fiamma della carità; la carità silenziosa, umile, paziente, priva di splendore esterno e di successi esterni; la carità che non intende fare qualcosa da sé, ma lascia fare all’altro, il Signore; la carità che si apre senza paura e senza riserve al suo operare è la condizione di ogni evangelizzazione. Questa carità è il punto dove si penetrano lo spirito umano e lo Spirito divino che è carità. Alla Chiesa del secolo di san Francesco non mancava il potere, non mancava il denaro, non mancavano gli scritti e le parole buone, non mancavano le opere, ma mancava quel radicalismo evangelico che dà al mondo il libello di ripudio per vivere solo per lo sposo Gesù. E perciò, nonostante il denaro, le pietre, le parole, la Chiesa andava “tutta in rovina”. Santa Chiara a San Damiano. dove la sofferenza del Signore con la sua Chiesa diventa parola, è un segno per noi tutti, anche oggi. Il Signore soffre anche oggi nella sua Chiesa e dalla sua Chiesa: “come vedi, va tutto in rovina”. Come vediamo, e anche la nostra risposta come quella prima di san Francesco sono soprattutto pietre, denaro e parole. La vita di santa Chiara non è una privatizzazione del cristianesimo, non è un ritirarsi in un individualismo o in un quietismo religioso. La vita di santa Chiara apre le sorgenti di ogni rinnovamento vero. Vivere la parola fino in fondo, senza riserve e senza commenti è l’atto nel quale si apre la porta dell’uomo a Dio, l’atto dove fede diventa carità, dove la Parola, il Signore si rende presente tra noi».

L’esperienza di Chiara testimonia che è possibile un incontro reale, personale tra Dio e l’uomo, una comunione che nulla toglie alla nostra umanità, ma la spalanca alla misura della carità di Dio, che è Amore. Sappiamo bene però – ed è esperienza di ogni giorno – che questa trasformazione della nostra umanità non avviene senza sofferenza, nella logica del chicco di grano che muore per dare frutto. Lo dice chiaramente Ratzinger nella stessa omelia: «La vita evangelica in questo mondo sta sempre sotto il segno del mistero pasquale, è passaggio dall’egoismo all’amore, è un tendere “alla carità”; è perciò anche tentazione ed esperienza del nostro proprio vuoto. Tutte le tentazioni della Chiesa entrano nella vita monastica, devono entrare e possono essere superate nella Chiesa solo se vengono in modo esemplare sofferte e superate nella pazienza e nell’umiltà delle anime elette, la cui vita diventa un laboratorio della nostra liberazione». E concludeva: «Amare essere semplici, non dare importanza alle opinioni umane, sottomettersi al giudizio degli occhi del Signore e imparare da Gesù la castità, l’obbedienza, la povertà; meditare le parole divine insieme con la grande tradizione della Chiesa, unirsi nella penitenza con il Signore sofferente, vivere non per se stesso ma in unione con il Signore per il suo corpo sofferente, per la pecora smarrita: l’umanità; far sentire la nostra voce allo sposo nell’adorazione e così imparare a volare: questo è il modo per riparare la casa del Signore; questo è il cammino per la vera riforma della Chiesa, ieri, oggi, domani».

Chiara di Assisi, con la sua vita totalmente rivolta al Signore, richiama alla Chiesa di oggi l’assoluta priorità di Dio e del suo regno, la perla preziosa per la quale vale la pena abbandonare tutto e persino rinchiudersi per sempre in un monastero. E ci indica in Gesù l’unica Via da seguire per tornare alla casa del Padre dove, soltanto, possiamo ritrovare la verità della nostra umanità: «Il Figlio di Dio è divenuto per noi via», scriveva Chiara nel suo Testamento. Se Chiara ha abbracciato la povertà e la minorità come condizione di vita, lo ha fatto perché ha visto in esse la modalità concreta per vivere nella propria carne il mistero dell’Incarnazione, la logica rovesciata delle Beatitudini evangeliche che sono lo sguardo di Dio sul mondo. E il frutto di una vita donata completamente a Cristo come unico Sposo, nella conversione paziente e perseverante alla logica redentrice del Vangelo, non può che essere la carità, «l’unità dell’amore reciproco, che è il vincolo della perfezione» (Regola, 10,7). Anche in questo Chiara è di un’attualità sorprendente. La discepola di Francesco ha voluto che nella sua comunità l’abbadessa fosse la serva di tutte le sorelle e che le sorelle si amassero e servissero reciprocamente più di quanto una madre ama la propria figlia carnale (cf. Regola, 8,16). Nella nostra società dove assistiamo da una parte a un individualismo esasperato e alla spersonalizzazione delle relazioni, dall’altra alla difficoltà di integrazione tra le diverse culture, l’esperienza di Chiara e delle Sorelle povere è un annuncio silenzioso che la comunione è realtà possibile ed è, pur con tutti i nostri limiti e povertà, anticipo del mondo nuovo. Una comunione profondamente umana e insieme divina, perché frutto dello Spirito; una comunione che non è annullamento delle diversità e delle personalità di ciascuna, ma reciproca accoglienza attraverso l’“esodo” pasquale da se stessi nella semplicità del vivere quotidiano. «Il modello di unità a cui bisogna tendere – scriveva Joseph Ratzinger nel suo stupendo libro Introduzione al cristianesimo – non è l’indivisibilità dell’atomo, della più piccola particella non più scindibile; la suprema forma di unità è invece l’unità creata dall’amore. L’unità dei molti, che nasce dall’amore, è un’unità più radicale, più vera di quella dell’atomo». Amore a Dio e amore fraterno, ci dice Chiara, non sono in opposizione, anzi, sono due aspetti inseparabili dell’unico amore.

Suor Chiara Agnese Acquadro