La Basilica di S. Chiara d’ Assisi

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Basilica S. ChiaraDescrizione dettagliata della Basilica di S. Chiara.

LA BASILICA DI SANTA CHIARA D’ASSISI

 

            La nascita del progetto di innalzare una chiesa in onore di Chiara d’Assisi – prima discepola di Francesco e con lui fondatrice delle Sorelle Povere, dette comunemente Clarisse – neppure due mesi dopo la sua morte, avvenuta l’11 agosto 1253, si innesta soprattutto sulla decisione di tumulare, subito dopo la S. Messa delle esequie presiedute da Papa Innocenzo IV, la sua salma nella chiesa di San Giorgio, edificio sacro già scelto per la prima sepoltura di san Francesco.  Il monastero di San Damiano, dove Chiara aveva scelto di abitare corporalmente rinchiusa e di servire il Signore in povertà somma per 42 anni, fu scartato perché ritenuto troppo indifeso per contrastare un eventuale «furto sacro».

Era forte nel cuore delle sorelle il desiderio di vivere accanto alle spoglie della madre.  E subito iniziarono trattative con il Vescovo francescano, fra Nicola da Carbio, e con il Capitolo di San Rufino, per una permuta tra la chiesa di San Damiano ed annessi, e la chiesa di San Giorgio, con l’attiguo ospedale e la poca terra circostante.  L’accordo, che fu confermato da un lodo del 1° ottobre 1253, stipulato dal cardinale Giovanni di Toledo, arbitro tra le parti, aveva lo scopo di costruire una chiesa che ospitasse degnamente il corpo di Chiara e trasferisse la comunità nel monastero da realizzare accanto.  Il verificarsi dei primi miracoli a favore di quanti si recavano alla sua tomba presto rese la chiesa di San Giorgio un santuario e ciò fu un fattore non trascurabile nel persuadere Innocenzo IV ad aprire il processo di canonizzazione a poco più di due mesi dalla morte. Dalla relativa bolla trapela un entusiasmo inusitato per un mero atto procedurale, che ci permette di toccare con mano la devozione popolare che andava crescendo a macchia d’olio intorno a questa umile serva dell’Altissimo.  Via, via che si avvicinava la sua canonizzazione, si concertò anche con le autorità civiche il progetto di costruire una chiesa per lei, come era stato fatto per san Francesco.  Ci si affrettò a sollecitare la ratifica da parte del nuovo Papa Alessandro IV, della permuta stipulata già dal 1253, la quale avvenne il 19 marzo 1255, pochi mesi prima della canonizzazione, che ebbe luogo il 15 agosto 1255 ad Anagni.  Sebbene, a motivo di varie difficoltà, si dovette attendere fino al 1259 per giungere alla ratifica definitiva, ci sono degli indizi che la costruzione fu avviata prima, probabilmente nel 1257.  Dal fatto poi che la traslazione delle spoglie della Santa dalla chiesa di San Giorgio all’erigendo luogo di culto fu effettuata il 3 ottobre 1260, si può desumere che per quella data almeno la copertura a tetto dell’insieme fosse stata ultimata.  Il rito della consacrazione della nuova chiesa, invece, fu compiuto il 6 settembre 1265 da Papa Clemente IV.

La Basilica, progettata probabilmente dall’architetto francescano, fra Filippo da Campello, è di stile gotico-umbro.  La facciata, come tutto il complesso basilicale, è caratterizzata da fasce alternanti di pietra bianca e rosa del Subasio.  La pianta a croce latina è costituita da un’unica navata a quattro campate, coperte da volte a crociera, il tutto assai simile a quella della Basilica superiore di San Francesco.

L’altare maggiore, sovrastato da un bellissimo Crocifisso sagomato raffigurante il Christus patiens del sec. XIII, è collocato al punto d’incrocio del transetto con l’asse della chiesa, ma spostato verso la fauce dell’arco della tribuna in corrispondenza della tomba di santa Chiara.  Posa sopra tre gradini digradanti dal piano della tribuna, chiusa tutt’intorno da una duecentesca pergola rettangolare.  Dato che la tomba della Santa sotto l’altare fu realizzata in modo da renderla inaccessibile, fu aperta sul gradino di fronte all’altare una fenestella confessionis, difesa da una grata in ferro, consentendo così ai pellegrini un punto di contatto con le sue spoglie.

Sulla parete sinistra della basilica, nei pressi dell’altare maggiore, si apre la cappella di Sant’Agnese, detta poi anche di San Michele, risalente al sec. XIV, che, con i restauri del 1999-2001, è diventata la cappella del SS. Sacramento, luogo particolarmente favorevole al raccoglimento e alla preghiera prolungata.  Sotto la finestra all’altezza della mensa dell’altare si vede murato un elegante pannello gotico ornato da una trina di rilievi stellati in pietra bianca, che incorniciano trilobi in pietra rossa del Subasio.  Là oltre alle reliquie di sant’Agnese d’Assisi, sorella carnale di santa Chiara, vi sono state collocate le spoglie della beata Amata, cugina della Santa, e di suor Benedetta, prima abbadessa dopo santa Chiara – come indica un’iscrizione tardiva sovrapposta al sarcofago – e forse quelle della beata Ortolana, la mamma di S. Chiara, e della beata Francesca d’Assisi.

Le due scale a gomito vicine all’ingresso principale della chiesa si congiungono su un pianerottolo antistante il vestibolo della cripta.  In fondo si trova la cripta originale che fu realizzata tra il 1850, anno del ritrovamento delle spoglie della Santa, e il 1872.   Da dietro ad una grata, si possono venerare i resti mortali di S. Chiara, racchiusi in un corpo-reliquiario, che giace su una tavola in legno grezzo all’interno di un’urna di cristallo e di pietra del Subasio.  Nel mezzo della cripta originale sorge una costruzione a figura dodecagona regolare, che ha la duplice funzione di mettere in evidenza il cunicolo, entro il quale fu ritrovato il semplice sarcofago di travertino con le spoglie della Santa, e di servire al culto mediante un altare.  Nella nuova estensione della cripta, verso l’ingresso principale, sono invece esposte alcune reliquie francescane-clariane.  Rappresentano un messaggio di vita evangelica che i nostri Santi continuano a donarci in modo visibile.  Tra le più importanti ricordiamo: la bolla di Innocenzo IV, Solet annuere sedes, del 9 agosto 1253, che conferma la forma di vita delle Sorelle Povere, redatta da santa Chiara e approvata dal vescovo di Ostia e Velletri, Cardinale Rainaldo, il 16 settembre 1252; il Privilegio della Povertà, rilasciato da Papa Gregorio IX il 17 settembre 1228 dietro supplica della stessa Santa; la tonaca e il mantello di santa Chiara; una tonaca di san Francesco; il manoscritto, contenente il breviario e l’evangeliario usati da san Francesco, consegnato da frate Angelo e frate Leone a suor Benedetta, che divenne abbadessa del monastero dopo la morte di santa Chiara, come ne fa fede la dedica iniziale.

Dal lato destro della Basilica, a pochi passi dall’ingresso principale, si accede alla Cappella del Crocifisso di San Damiano.  Qui si può sostare in preghiera silenziosa davanti all’icona che ebbe un ruolo decisivo nella storia della conversione di san Francesco e che dalle sorelle fu trasportata da San Damiano al nuovo monastero nel 1259 circa.  La Leggenda dei tre Compagni narra che Francesco, patendo nell’intimo sofferenza indicibile e angoscia, un giorno, passando accanto alla chiesa di San Damiano, gli fu detto di entrarvi a pregare.  Andatoci, prese a fare orazione davanti a una immagine del Crocifisso che gli parlò: “Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando?  Va’ dunque e restaurala per me” (3Comp V, 13: FF 1411).  Il giovane fraintendendo l’esortazione del Crocifisso, che in realtà si riferiva alla Chiesa acquistata da Cristo col proprio sangue, mise mano alla borsa, offrì del denaro al prete che accudiva la chiesa perché provvedesse una lampada e l’olio per non far mancare un lume sotto l’immagine sacra.  Poi, abbandonata la casa paterna e rinunciato a tutti gli averi terreni, si dedicò al restauro materiale non soltanto di questa chiesa, ma anche di altri due edifici sacri, chiedendo in elemosina le pietre necessarie per il lavoro.  Tali fatiche prefigurarono l’opera di rinnovamento della Chiesa che avrebbe fatto in futuro.

Facendo memoria dell’illuminazione del cuore, che S. Francesco sperimentò ai piedi del Crocifisso di San Damiano e da cui sgorgò il carisma francescano-clariano, S. Chiara nel suo Testamento scrisse: “Quando lo stesso Santo, che non aveva ancora né fratelli né compagni, quasi subito dopo la sua conversione, mentre edificava la chiesa di San Damiano, totalmente visitato dalla consolazione divina, fu spinto fortemente ad abbandonare del tutto il mondo, per gran letizia e per l’illuminazione dello Spirito Santo, profetò a nostro riguardo quello che poi il Signore adempì” (TestsC 9-11: FF 2826).

Il Crocifisso di San Damiano, di stile romanico, con tutta probabilità fu eseguito nella prima metà del secolo XI da un autore sconosciuto.

Ispirandosi alla Lettera agli Ebrei, dove si legge “È risorto il pastore grande delle pecore” (cf Eb 13,20), l’iconografo rappresenta Cristo Risorto come il pastore grande delle pecore con occhi grandi, che guardano dovunque.  A Lui, il Figlio Unigenito, che è stato provato in ogni cosa, il Padre rimette ogni giudizio perché giudichi con giustizia e misericordia.  Questo Cristo giudice e pastore in croce è raffigurato con i fianchi cinti da un linteum (cf. Gv 13,1.4), ossia un grembiule a doppio telo, in modo da essere presentato come servo.  L’aureola è crociata a corona con tre gemme a quincus, ciascuna delle quali è composta appunto di cinque punti: quattro punti esterni e uno in mezzo, che fa di questa croce una corona regale.  È corona regale perché, come recita il titulus posto sopra il capo di Gesù, Egli è IH[esu]S NAZARE[nus] REX IUDEORU[m].

Nella scena in basso, sotto i piedi del Crocifisso, compaiono tracce di alcuni personaggi.  Verosimilmente si tratta dei personaggi dell’anastasis, ossia della discesa agli inferi.  Nel cerchio in alto, che significa l’irradiamento della gloria che Cristo supera, fuoruscendo, invece, viene messo in risalto il dinamismo vincitore della figura di Cristo che, dopo aver scardinato le porte degli inferi e liberato Adamo, Eva, i patriarchi e i re, sale di fianco, di prospetto verso l’alto.  Nel semicerchio in alto, ossia l’empireo, che denota l’infinito, è visibile la mano del Padre che indica lo Spirito, facendo capire così che tutto quello che si vede è opera della Terza Persona della SS. Trinità.  I personaggi ai lati del tondo sono le creature celesti che stanno accogliendo Cristo nella gloria del Padre.

Nel tabellone centrale, vengono ripresentati e rappresentati alcuni personaggi come Chiesa che nasce nel giorno e nell’ora della morte di Cristo.  Una riproposizione che vede prima Maria, posta all’altezza del costato trafitto di Cristo – S[an]C[t]A MARIA – a destra (a sinistra di chi guarda) e tutti gli altri con lei.  Maria, che ha la mano sinistra sotto il mento e la destra che indica, è sia colei che contempla e medita (impressione), sia colei che indica (espressione).  Maria Maddalena – MARIA MADDALENA – , raffigurata a sinistra (a destra di chi guarda), invece, ha soltanto l’atteggiamento dell’impressione.  L’apostolo Giovanni –S. IOANNES – , a fianco di Maria, ha soltanto l’atteggiamento dell’espressione, come Maria, madre dell’apostolo Giacomo, – MARIA MA[ter] JACOBI, – e il Centurione – CENTURIU[s], i quali sono collocati vicini a Maria Maddalena.  Insomma Maria è il tipo della Chiesa, che Cristo in croce sta sposando.  In lei si ritrova riunito il tutto, quello che qui viene affidato, scandito, suddiviso in parte a Giovanni, in parte a Maria Maddalena, in parte all’altra Maria, in parte anche al Centurione.

Quanto ai personaggi minori, sono coloro che seguiranno il Centurione che sta dicendo: “Veramente costui era Figlio di Dio”.  Si trovano ai piedi rispettivamente a sinistra di Maria e a destra del Centurione.  Quello, a sinistra di Maria, si chiama – LONGENU[s] – di cui è detto nell’Apocrifo di Nicodemo che era il romano che aprì il costato di Cristo e l’altro, a destra del Centurione, nel quale si è voluto identificare Stefanato, secondo lo stesso Apocrifo, una guardia o un servo del tempio che prese una spugna imbevuta nell’aceto e la porse a Gesù durante la sua Passione.

Nei bracci orizzontali della Croce ci sono, in ciascun lato, tre angeli, uno in piedi e due a mezza figura, che discutono e indicano quello che sta succedendo.

Scendendo giù nel braccio verticale inferiore si nota una fenice – un uccello fantasioso che, secondo la mitologia pagana era affascinato dal fuoco con cui si bruciavano gli olocausti – che sta tendendo al fuoco, che, riproposto dall’iconografia cristiana, parla in modo emblematico della morte e della risurrezione del Cristo, offerto in olocausto, bruciato dallo Spirito Santo.

Sono in tanti, da ogni parte del mondo che, mettendosi in preghiera davanti a questo Crocifisso e fissando i propri occhi nei suoi, fanno il passaggio che porta a vedersi non più come esseri isolati, ma come persone guardate con amore.  Rigenerati da quest’amore, incominciano a guardarsi con mitezza e di qui riscoprono se stessi come dono divino, unico, nonostante la propria infedeltà.  L’abbandono alla volontà del Padre, vissuto da Gesù, allora diventa un’esigenza del cuore.  E, pur tra le difficoltà, spinge ad una preghiera più pura e fiduciosa.  Allora anche lo sguardo sugli altri ne benefica, perché è provocato a guardare ciascuno con lo stesso sguardo di Gesù e non più con quello sguardo che, perdendo di vista il legame con Cristo, non è in grado di riconoscere l’altro come fratello o sorella.  L’eco di queste esperienze trasformanti ci giunge in vari modi, come anche la richiesta di essere accompagnati e custoditi nella preghiera perché ci sia una svolta decisiva nel proprio cammino cristiano, e tutto questo è per noi, Sorelle Povere del Protomonastero S. Chiara, uno stimolo sempre nuovo per accogliere fino in fondo l’invito della nostra Madre S. Chiara, avvalorato da tanti esempi di vita, di specchiarci nell’Amore crocifisso per esserne tutte trasformate.  Accade così che si prolunga nel tempo l’efficacia della benedizione di santa Chiara: che il Signore sia sempre con noi ed Egli faccia che noi siamo sempre con Lui.

 

 

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