Il Presepe di Giotto nella Basilica superiore di Assisi

GLI OCCHI DELL’AMORE.

Giotto ha dipinto alcuni affreschi legati tutti dallo stesso tema della Natività del Signore. Il primo fa parte del ciclo delle Storie di San Francesco nella Basilica superiore di Assisi, di poco anteriore al 1300. Il dipinto fotografa il momento culminante della notte di Natale del 1223 quando, come raccontano Tommaso da Celano nella S. Francisci Assisensis vita et miracula di (XXX 466-471) e San Bonaventura da Bagnoregio nella Legenda maior (X 1186,7), opera quest’ultima alla quale si è ispirato Giotto, il fraticello d’Assisi decise di rievocare la nascita di Gesù predisponendo una mangiatoia, un bue e un asinello in un luogo dove subito accorse la popolazione e si adunarono i frati. Durante la solenne cerimonia, un uomo sostenne di aver visto disteso sul fieno un bellissimo Bambino che dormiva mentre Francesco, prendendolo in braccio, sembrava volerlo risvegliare.

Il presepe di Greccio

Giotto ambienta l’episodio in una chiesa e colloca noi spettatori da un particolare punto di vista, in  fondo all’abside.  La scena è complessa: la croce che noi vediamo dal retro e che pende dal muro di delimitazione del coro tenta una prospettiva insieme al ciborio e al leggio con il messale; le donne che si affacciano e si accalcano sulla soglia della porta stretta danno l’idea di una folla di persone; i personaggi in prima fila tacciono e guardano come interrotti e sorpresi, mentre più indietro i frati continuano a cantare. Tutto converge sulla figura di Francesco chino sul Bambino. Hanno i volti vicini e si guardano. Benché la pittura in quel punto sia danneggiata si distinguono bene gli occhi di entrambi.  Si guardano intensamente e sono l’uno nello sguardo dell’altro. Uno sguardo che cattura ed emoziona.  Sembra che Gesù chieda e che Francesco risponda di sì. Alla mente tornano le parole di Marco: Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò” (10, 21).

La natività di Assisi

L’affresco con la Natività di Assisi segue modelli iconografici antichi, come sdoppiare la scena in due momenti successivi:  la Natività  e il Primo bagno del Bambino  effettuato da due donne, una delle quali evidentemente Salome, la levatrice scettica citata dai Vangeli apocrifi, con un significato che sembra anticipare il Battesimo di Cristo, così come la mangiatoia rimanda alla morte e risurrezione del Signore. 

Giuseppe è appartato e pensieroso; Maria è seduta su un materasso e tende con le braccia il Bambino che è stretto nelle fasce, e su di lui cadono raggi d’oro. Sotto l’esile capanna, c’è una greppia allungata con gli animali e un girotondo di angeli in adorazione. Dietro si erge un’alta montagna brulla, anch’essa dalla simbologia natalizia ben nota, angeli e pastori. Maria è Gesù si guardano profondamente ma senza l’intensità ineffabile dell’affresco di Padova.

Il senso della vista al tempo di Giotto

Nel Medioevo la vista è quello che dei cinque sensi ha goduto di maggiore attenzione. La correlazione tra vista e conoscenza discende dal mondo antico. Per Platone e Aristotele la conoscenza è una conseguenza della vista. Nella storiografia classica quando si vuole avvalorare la veridicità di ciò che si racconta si premette, quasi come una formula, “racconto perché ho  visto”, come scrive Erodoto.

Nella poesia trobadorica e poi in quella duecentesca e nello Stilnovismo, corre un rapporto assai stretto tra occhi e cuore. Lo sguardo non mente, ed è anche il veicolo che porta all’amore. Giacomo da Lentini, ad esempio, dice che il desiderio amoroso scaturisce dalla visione dell’amato. Dante ribadisce il concetto. Occhi e cuore sono insomma un binomio ricorrente. Non stupisce pertanto che Giotto concentri così tanta centralità allo sguardo.

Teologia dello sguardo

Il rapporto occhi-conoscenza si inverte però totalmente nell’ambito della sfera religiosa. Come scrive Riccardo di San Vittore, priore dell’abbazia di Parigi nel XII secolo, Ubi amor ibi oculus, “Dove è l’amore lì c’è lo sguardo”.  È l’amore che permette di vedere, che produce conoscenza e non lo sguardo fisico.

Un concetto che troviamo di continuo nei Vangeli. “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi” (Gv 9, 39) e ancora  “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29).

San Francesco volle “vedere con gli occhi del corpo” (FF 468) la nascita di Gesù, non per accrescere la propria fede e tanto meno perché scettico, ma per “vedere i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato” (Ibid.), per immergersi totalmente nello stupefacente amore di Dio, “…che si è fatto piccolo, per essere amato da noi. In Gesù Dio si è fatto Bambino, per lasciarsi abbracciare da noi”, come ricorda Papa Francesco nell’Omelia durante la S. Messa nella Notte di Natale. 

Giotto ha dipinto l’amore ed è riuscito a renderlo perfettamente nello scambio di sguardi. In un certo senso ha creato nell’arte una vera e propria teologia dello sguardo. 

Maria Milvia Morciano

[Fonte: www.vaticannews.va]