Le Stimmate come dono della consacrazione

Riportiamo una sintesi dell’articolo di Fr. Stefan Acatrinei, OFMConv, pubblicato nella rivista “Koinonia”, a cura degli Assistenti spirituali generali OFS-GIFRA ( N. 124 – 2024.4: ANNO 31).
     Francesco è stato senz’altro un ricercatore di Dio e, grazie alla sua instancabile perseveranza e dedizione, ha sperimentato la Sua presenza in tanti modi e in deversi posti. Solo per ricordarci alcuni di essi, basterebbe menzionare la chiesetta di San Damiano, l’incontro del lebbroso, nella parola del Vangelo, nella preghiera, in sogno, etc. Tuttavia, l’incontro che ha lasciato nel suo corpo dei segni visibili e indelebili, “l’ultimo sigillo” come lo chiama Dante, cioè le stimmate, avvenne “due anni prima della sua morte, mentre pregava su un versante del monte chiamato Alverna”.
     Questa esperienza unica, mai sentita prima, di San Francesco stimmatizzato, fu ulteriormente dipinta da diversi artisti; le tele colpiscono per la loro bellezza. A chi le guarda, a differenza di Francesco, gli può facilmente sfuggire la crudele realtà della sofferenza, come se venisse rapito in una dimensione dove predominano bellezza e ammirazione che generano serenità e gioia; emozioni come quegli di Francesco, di “viva gioia e sovrabbondante letizia”, che sulla Verna furono generati dallo “sguardo bellissimo e dolce” del Serafino. Invece, ci dicono i suoi biografi, Francesco vedendo Cristo “confitto in croce nell’acerbo dolore della passione (…) gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito”. Con quell’evento, che generò delle emozioni mischiate, Francesco raggiunse una nuova tappa della sua vita, che lo rendeva più simile a Cristo.
     Secondo Tommaso da Celano le ragioni delle stimmate di Francesco sono presenti già nel racconto della sua conversione: “un giorno passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti. Condotto dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato (…). Da quel momento si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può piamente ritenere, le venerande stimmate della passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore” (2Cel 10: FF 593-94).
     L’incontro di Francesco col crocifisso di San Damiano ha avuto, secondo i suoi biografi, una importanza fondamentale. Proprio lì, Francesco ha avuto l’ispirazione decisiva per la sua vita, e Chiara contemplò lo stesso crocifisso per tutta la vita, facendone il suo specchio. Attraverso il crocifisso di San Damiano, Francesco capisce che la sorte di Cristo, fatto obbediente fino alla morte, diventerà anche la sorte di tutti coloro che, seguendolo, si faranno servi obbedienti, come Lui, alla volontà del Padre. Questo è il motivo per il quale “da quel momento, il ricordo del crocifisso, l’idea dell’amore che trionfa immolandosi, si convertì nel centro della sua vita religiosa, anima della sua anima”. Il crocifisso di San Damiano diventa il testimone più importante e attendibile di tutto il cammino spirituale del Poverello, diventa modello e meta della sua avventura interiore: arrivare alla vita risorta e gloriosa con Cristo attraverso il cammino della croce. Francesco capisce che il crocifisso glorioso deve essere anche per lui “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6); intende che solo attraverso l’immolazione e la morte si può giungere al trionfo dell’amore vero e alla vita risorta con Cristo; comprende che il cammino della croce non finisce nel dolore, ma nella risurrezione, e che la croce è l’itinerario obbligatorio per giungervi. Quindi, “le forme di questa icona marcarono allora la sua memoria per il resto dei suoi giorni” e il suo cuore trasformato dalla grazia divina diventa compassionevole nei confronti dell’umanità sofferente fino al punto di emergersi in essa per sollevarla.
     Tommaso da Celano introduce, con la sua descrizione, le stesse emozioni e gli stessi sentimenti che accompagnarono Francesco sulla Verna, al momento dell’incontro con il Serafino, e la trasformazione interiore diventa la tela per introdurre il tema della stigmatizzazione già durante il periodo della conversione. Quest’immagine è una chiara lettura cristocentrica dell’intera vita di Francesco e un’indicazione della spiritualità della Passione come uno degli elementi fondamentali del suo carisma e della sua futura fraternità. La croce, quindi, non è soltanto il simbolo della passione, ma anche simbolo della vita, e mezzo per arrivarci. Queste due realtà si rispecchiano nel crocifisso di San Damiano dove Cristo accettò di morire sulla croce, spogliandosi di tutte le sue prerogative divine, come segno del suo amore più grande, affinché l’uomo avesse la vita, manifestando così nella croce non solo la sua totale kenosi ma anche il suo massimo amore per l’umanità. Quello che più impressionava Francesco non era tanto il fatto della crocifissione in sé, quanto piuttosto il suo significato, la portata di tale fatto: l’amore di Dio per gli uomini. La passione di Cristo diventa perciò per Francesco l’espressione più alta e il segno del più grande amore di Dio per gli uomini.
     San Bonaventura, come pure Tommaso da Celano, associa l’inizio della conversione di Francesco alla croce, che lo accompagnò sempre su tutti i sentieri della sua vita. Francesco la assunse e, incarnandola in sé “stesso mediante una condotta degna di ogni lode”, gli è diventata compagno affidabile e inseparabile. Non solo che non l’ha mai deluso, nemmeno nei momenti più difficili, ma furono proprio questi delle opportunità che hanno rafforzato il loro legame reciproco. In quanto Francesco si è dimostrato fin dall’inizio della sua conversione un degno portatore della croce di Cristo, perché va sulla Verna? Perché gli si imprimessero anche esteriormente i segni della croce? Se questo fosse vero, sarebbe stato proprio necessario che egli fosse andato sulla Verna?.
     Se le informazioni dei suoi biografi concordano nel collegare la croce all’inizio della conversione di Francesco, le motivazioni del suo salire sulla Verna differiscono. Mentre Compilazione di Assisi dice che Francesco voleva “passare lassù una quaresima in onore di san Michele”, san Bonaventura mette tutto sulla guida dello Spirito Santo, che lo portò lì: “Due anni prima che rendesse lo spirito a Dio, dopo molte e varie fatiche, la Provvidenza divina lo trasse in disparte e lo condusse su un monte eccelso, chiamato monte della Verna” (17 LM XIII 1: FF 1223).
     L’autore dell’Anonimo Perugino, invece, senza alludere a nessun motivo della sua presenza sulla Verna, presenta le stimmate come segno dell’amore del Signore per Francesco: “Volendo il Signore mostrare l’amore con cui lo circondava, impresse sulle sue membra e sul suo costato le stimmate del suo Figlio dilettissimo” (AP 46: FF 1541).
     Non c’è dubbio che Francesco, durante la sua vita, ha ricevuto innumerevoli doni, sia spirituali che materiali e per qualsiasi di essi egli ringraziava il Signore: “restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie a lui, dal quale procede ogni bene” (AP 46: FF 1541). La motivazione della salita di Francesco sulla Verna, offertaci dall‘autore Delle Sacre sante istimmate di San Francesco e delle loro considerazioni, è molto significativa. Essa è veramente una conferma dell’abitudine di Francesco di restituire il dono ringraziando il Signore e, nello stesso tempo, ci apre una nuova pista di riflessione in quanto si usa un nuovo termine “consacrare”: “consacrare quel monte benedetto” (FiorCons: FF 1899).
     Il meraviglioso esempio di Francesco ci invita a non esitare di consacrare i doni che il Signore ci elargisce quotidianamente. Riesco ad accogliere tutto quello che ricevo ogni giorno, quello che mi accade, come puro dono di Dio? Che emozioni suscitano in me la percezione dei doni di Dio nei mei fratelli e nelle mie sorelle? Assaggio, almeno avvolte, la dolcezza della croce? Ci provo di entrare nella sua mistica per riscaldarmi del calore di quest’amore sconfinato?