Rocco l’appestato

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Francesco Tartaglia, san Rocco (1527), Cappella del Crocifisso, Basilica di santa Chiara, Assisi.

Francesco Tartaglia, San Rocco (1527), Assisi, Santa Chiara, cappella di San Giorgio.

Sembra quasi che ti voglia sedurre, San Rocco, con quella mano a scoprire la coscia che pare quasi la posa di una ballerina di burlesque. Ma in effetti – anche se arriva dalla terra che ha creato il Moulin Rouge – c’è poco di sensuale nel bubbone che ti mostra vicino all’inguine. Perché Rocco, patrono dei pellegrini, è un santo appestato, reietto, abbandonato, scacciato dal mondo, incarcerato e umiliato.

E sì che era destinato a ben altro futuro, il santo francese: nato tra il 1345 e il 1350 a Montpellier, in una famiglia molto ricca, come Francesco d’Assisi (che dalla terra di Rocco aveva preso il nome e la cultura) aveva deciso di distribuire tutti i suoi beni ai poveri e dalla Lingua d’Oca aveva intrapreso un lungo viaggio alla volta di Roma con l’obiettivo di visitare la tomba di San Pietro, rendere culto alla Veronica (il fazzoletto con cui – secondo la leggenda – sarebbe stato asciugato il volto di Gesù durante la via Crucis), vedere il luogo del martirio di San Paolo, entrare nelle catacombe e ammirare le famose basiliche. 

Viaggiava per l’Europa con una conchiglia ricamata sul mantello per non pagare i pedaggi, da cui erano esenti solo i pellegrini.

Arrivato ad Acquapendente, a nord di Roma, sulla via Cassia, decide però di fermarsi per assistere alcuni malati di peste, e comincia ad operare – secondo la leggenda – guarigioni miracolose. “Era sua abitudine tracciare il segno della croce sulla fronte dei malati ed invocare la trinità di Dio per la loro guarigione, pronunciando una formula di scongiuro diventata tradizionale”.

Giunto finalmente a Roma tra il 1367 e il 1368, rimane nella capitale della Chiesa per tre anni, sempre assistendo i malati di peste. Inevitabilmente, finisce per ammalarsi anche lui. Il morbo lo colpisce sulla strada del ritorno, mentre si trova a Piacenza. Cacciato quindi dalla città, inizia a vagare per le campagne come i suoi compagni di sventura. “La leggenda vuole che si rifugiasse in una grotta in località Sarmato, a circa 17 chilometri dalla città qui riuscì a vincere la sete grazie ad una sorgente di acqua miracolosa”. Ancora oggi si possono vistare la grotta e la famosa fontana.

Il pellegrino, pur dissetato, muore comunque di fame e in suo soccorso arriva un cane, che diventerà il suo compagno inseparabile in tutte le raffigurazioni. Il cagnolino appartiene a un uomo molto ricco chiamato Gottardo. Dalla tavola del padrone il cane ruba ogni giorno un pane che porta a Rocco. Insospettito dall’andirivieni dell’animale, Gottardo decide di seguirlo e incontra Rocco, di cui finisce per diventare discepolo. Il ricco patrizio decide di seguire l’esempio del pellegrino e vende tutti i suoi beni, indossando il sacco e iniziando a mendicare l’elemosina a Piacenza.

Intanto Rocco riesce a guarire dalla peste e a sanare anche molti appestati. Lasciata la città si dirige a nord con l’intento di tornare a casa, ma quando arriva a Voghera – preso per un balordo – viene fermato e arrestato. Interrogato dalle guardie, quando gli viene chiesto il nome risponde: “Sono un servo di Gesù Cristo e un povero pellegrino” e si rifiuta di fornire le proprie generalità. Viene così accusato di spionaggio e gettato in carcere, dove morirà di stenti dopo cinque anni. Moribondo, chiede di essere assistito da un sacerdote, che rimane così colpito dal prigioniero, da chiedere al governatore la grazia.

“Rocco nel frattempo, venne consolato in sogno da una visione che lo avvisò che presto la sua santissima anima avrebbe riposato nel seno del padre e che prima che ciò avvenisse avrebbe potuto domandare una grazia particolare a Dio”. Lui chiede che venga concessa la salvezza a tutti i malati di qualsiasi epidemia che invochino il suo nome, in qualità di intercessore presso Gesù Cristo e la vergine Maria.

Alla sua morte i carcerieri si rendono conto del madornale errore commesso: quando il corpo di Rocco viene portato di fronte al governatore di Voghera, infatti, l’uomo riconosce la croce vermiglia che il pellegrino porta stampata sul petto: è lo stemma del suo stesso casato! Scopre così che Rocco – figlio di Giovanni governatore d Montpellier – è nientemeno che suo nipote.

Negli anni successivi il culto di Rocco si diffonde in modo sorprendente, soprattutto dopo le pestilenze sviluppatesi tra il 1400 e il 1530. Il pellegrino francese inizia infatti a porsi come principale rivale di san Sebastiano, fino ad allora l’unico santo in grado di fermare le frecce pestifere dell’ira divina.

Arnaldo Casali

Fonte: www.festivaldelmedioevo.it

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