Chiara e il papato

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S. ChiaraRiportiamo un articolo apparso nella Rivista di Cultura della Provincia dei Frati Minori di Lecce “Miscellanea Franciscana Salentina”, del Gennaio 2002-Dicembre 2003. Per facilitare la lettura non sono state riportate le note. L’articolo cerca di far luce sugli inizi dell’Ordine di Santa Chiara attraverso i recenti studi sulle fonti agiografiche francescane e clariane.

CHIARA E IL PAPATO, RESISTENZE E “NORMALIZZAZIONE” DI UNA ESPERIENZA CRISTIANA – Di Marco Guida  

 

Premessa

A distanza di otto secoli dalla vicenda terrena di Francesco e Chiara di Assisi, non sono mai venuti meno il fascino esercitato da queste due lucenti figure del basso Medioevo e la curiositas di quanti, attingendo alle fonti della loro vita ed esperienza religiosa, hanno cercato di comprenderne la storia e di leggerne la proposta cristiana.

Le fonti agiografiche francescane e clariane a nostra disposizione costituiscono un unicum nel panorama della letteratura agiografica medievale. La loro ricchezza e complessità ha condotto inevitabilmente alla ormai famosa “questione francescana”, e alla non meno stimolante “questione clariana”. Quello di Chiara, infatti, e un caso davvero singolare se paragonato a quello di tante altre donne del Medioevo – altrettanto originali e significative quanto lei – delle quali però non possediamo fonti documentarie e narrative.

Negli ultimi quindici anni molti sono stati gli studi interessati alla vicenda di Chiara d’Assisi, al suo rapporto con i movimenti religiosi femminili a lei coevi e con il papato. Tanti lavori sono comparsi in occasione e successivamente al centenario della nascita della santa (1993- 1994), e lo stesso si spera per il centenario della morte e della Regola di Chiara che si è da poco concluso. Particolarmente interessanti sono le ricerche di Maria Pia Alberzoni, che attraverso un’attenta analisi dei documenti pontifici riguardanti Chiara e la sua comunità, ha messo in nuova luce, l’evoluzione storica del movimento clariano liberandolo dalla “posizione tradizionale della storiografia francescana, per lo più interna all’Ordine, secondo la quale Chiara sarebbe la fondatrice del secondo Ordine francescano o, ancor peggio, dell’Ordine delle Clarisse, una definizione questa che, correttamente, non è possibile applicare ai monasteri delle Damianite se non dopo la promulgazione della regola urbaniana del 1263”.

La vicenda di Chiara e della sua comunità si inserisce nel progetto di riforma della vita religiosa femminile iniziato con Innocenzo III e perseguito tenacemente dai suoi successori. I registri di Gregorio IX sono ricchissimi di lettere inviate a comunità femminili, con le quali il pontefice – ancora cardinale e al tempo della sua legazione pontificia nell’Italia centro-settentrionale – ne aveva caldeggiato e protetto la fondazione sottoponendoli direttamente alla Sede Apostolica. Si tratta di quello che ufficialmente sarà chiamato Ordo Sancti Damiani, l’insieme dei monasteri ugoliniani che con la comunità di Chiara avranno punti in comune ma anche notevoli differenze. Intento del papato era quello di regolamentare e «organizzare il “movimento religioso femminile” secondo la collaudata esperienza monastica». Si assisterà cosi ad una progressiva monasticizzazione dell’esperienza clariana, che iniziata con Ugolino (poi Gregorio IX) terminerà con Urbano IV. Questo processo si riscontrerà anche nel cambiamento progressivo dei nomi con i quali verrà definita l’esperienza damianita: si passera dalla religio (“religio pauperum dominarum de Valle Spoleti sive Tuscia”; “pauperes moniales reclusae”) all’ordo (“Ordo Sancti Damiani”), fino a giungere all’ “Ordo sanctae Clarae”.

Chiara, San Damiano e il “monachesimo ugoliniano”


Per inquadrare storicamente questa evoluzione è necessario menzionare, anche se non in maniera esaustiva, le tappe dello sviluppo istituzionale del fenomeno clariano-damianita. Poco dopo l’arrivo delle prime compagne di Chiara, Francesco scrisse negli anni 1212- 1213 la Forma vitae che costituiva probabilmente “il nucleo centrale della formula con cui si ricevevano all’obbedienza le sorores che si aggiungevano alla comunità”. Nel 1215 il Concilio Lateranense IV con la XIII costituzione proibiva la fondazione di nuovi ordini religiosi. Quale conseguenza ebbe questa decisione per le sorores di San Damiano? Fu questo il motivo per il quale Chiara assunse per se e per la sua comunità una de religionibus approbatis, la Regola di san Benedetto, e per garantire l’originalità della sua esperienza ottenne l’anno seguente (1216) il Privilegium paupertatis? Questo è difficile stabilirlo – considerando anche i dubbi circa l’autenticità di questo documento rilasciato da Innocenzo III -, ma sembra più verosimile pensare che la comunità di Chiara in questo periodo non “ebbe bisogno di intrattenere rapporti stabili con la Chiesa di Roma, poiché questi erano in qualche modo mediati dall’Ordine minoritico”, senza escludere però il ruolo svolto dal vescovo di Assisi.

Proprio in questi anni la Sede Apostolica stava assumendo, verso il pullulare di novae religiones femminili che si caratterizzavano per il desiderio di vivere in assoluta povertà, un orientamento ben preciso:

“inquadrare le diverse forme di vita religiosa femminile verso una normativa ben definita e fortemente influenzata dalla tradizione cistercense; sottomettere i cenobi direttamente alla Chiesa di Roma; caratterizzare il nuovo monachesimo con la pratica di una strettissima clausura, fino ad allora in uso solo presso quei religiosi che si dedicavano a vita eremitica o di reclusione” (M. P. Alberzoni).

Chi si impegnò in questo ambizioso progetto fu il cardinale Ugolino, che nel corso della sua legazione nell’Italia centro-settentrionale, nel 1218 ricevette da Onorio III la Litterae tuae nobis, in virtù della quale poté fondare monasteri femminili direttamente soggetti alla Sede Apostolica ed elaborò per loro un progetto di vita: le Costituzioni ugoliniane o Regola di Ugolino redatte nel 1219. II cuore di tale Regola era la scelta della clausura: “[le monache] dovranno vivere rinchiuse per tutta la loro vita”. Nasceva così la Religio pauperum dominarum de Valle Spoleti sive Tuscia, l’insieme dei monasteri fondati da Ugolino, con i quali la comunità di Chiara aveva poco in comune dato che quest’ultima – nata non per l’interessamento del cardinale, ma per la volontà di Francesco e della stessa Chiara – “voleva mantenersi nella più assoluta povertà e, soprattutto, in stretto collegamento con la comunità di Francesco”. Nel 1219 il cardinale Ugolino con la Prudentibus virginibus concesse protezione ed esenzione a quattro monasteri femminili: Santa Maria al Santo Sepolcro di Monticelli presso Firenze, Santa Maria fuori Porta Camollia a Siena, Santa Maria di Gattaiola in diocesi di Lucca e Santa Maria di Monteluce presso Perugia. Questi monasteri venivano cosi posti sotto la diretta dipendenza della Chiesa di Roma, assumevano la Regola benedettina e osservavano una rigida clausura. Nel diploma per il monastero di Monticelli non si faceva riferimento alla forma vitae scritta da Ugolino ma alle observantiae regulares che si osservavano a San Damiano. II 9 dicembre 1219 il papa confermò il privilegio per il monastero fiorentino. Lo stesso fece nel settembre del 1222 per i monasteri di Gattaiola, Siena e Monteluce. Ugolino fece inserire nel registro dei suoi atti il formulario che i vescovi avrebbero dovuto utilizzare nel concedere la costituzione dei monasteri femminili, nei quali

“le vergini dedicate a Dio e le altre ancelle di Cristo servano il Signore in povertà secondo la forma di vita e di religione delle Povere Donne della valle di Spoleto e di Tuscia concessa alle stesse sorelle, per autorità del signor papa, dal signor Ugolino, venerabile vescovo di Ostia”.

II formulario chiedeva ai vescovi di concedere alle nuove fondazioni monastiche la stessa libertà di cui godevano i monasteri di Perugia, di Siena e di Lucca. Non si fa menzione delle comunità di San Damiano e Monticelli, forse perché Ugolino le riteneva diverse da quelle che seguivano la sua forma vitae. Nel 1220 il cardinale Ugolino trascorse la settimana santa a San Damiano, come testimonierebbe la lettera da lui indirizzata a Chiara poco dopo la sua partenza dal monastero. In questa occasione Ugolino incontro Chiara e conobbe meglio lo stile di vita della sua comunità, alla quale con molta probabilità propose la sua forma vitae cercando così di inserire la comunità damianea tra i monasteri da lui fondati o regolamentati. Intento di Ugolino era quello di svincolare la comunità assisana dal forte e fondante legame con la fraternitas di Francesco, che in quegli anni andava caratterizzandosi giuridicamente come un ordine religioso maschile nel quale non poteva avere più posto una comunità di donne. L’evoluzione giuridica della fraternità francescana, espressa attraverso le regole, lascia intravedere il cambiamento dei rapporti tra i frati e la comunità di Chiara avvenuto nel secondo decennio del XIII secolo:

“E nessuna donna assolutamente sia accolta nell’obbedienza da alcun fratello, ma datole il consiglio spirituale, dove vorrà faccia penitenza”. “Comando fermamente a tutti i fratelli di non avere rapporti o colloqui sospetti con donne e di non entrare in monasteri di monache, eccetto coloro ai quali sia stata concessa una speciale licenza dalla sede apostolica” (Regola non bollata).

L’incontro con Chiara suscitò in Ugolino tanta ammirazione per la badessa di Assisi a tal punto che il cardinale “volle fare di San Damiano il centro ed il cuore dell’Ordine da lui istituito e possibilmente affidarne la cura ai Frati minori”. Divenuto papa con il nome di Gregorio IX, Ugolino concretizzò le sue aspirazioni affidando al ministro generale dei Frati Minori la cura delle monache e ordinando a Chiara di entrare a far parte dell’Ordine da lui fondato.

Chiara e Gregorio IX

In occasione della canonizzazione di Francesco, Gregorio IX si reco ad Assisi ed ebbe modo di incontrare la comunità di San Damiano. La Legenda sanctae Clarae virginis racconta l’episodio dell’incontro tra Chiara e il pontefice, non nascondendo il dialogo serrato avvenuto tra i due a motivo del possesso dei beni e del voto di povertà:

“II signor papa Gregorio, di felice memoria, uomo degnissimo di quella sede, e venerando per meriti, amava questa santa assai fortemente di affetto paterno. Avendo cercato di persuaderla che in vista degli eventi del tempo e dei pericoli dei secoli futuri, volesse permettersi qualche possedimento che lui stesso volentieri le offriva, con animo risoluto vi si rifiuto e non vi si volle mai piegare. II Pontefice le rispose: “Se temi per il voto noi te ne assolviamo”. “Santo Padre, replicò lei, non desidero affatto essere in perpetuo assolta dalla sequela di Cristo””.

Così Chiara, in quell’occasione, chiese al pontefice la concessione del Privilegium paupertatis e l’ottenne. Questo documento garantiva a Chiara e alla sua comunità – che veniva in quel tempo inserita in posizione preminente nell’Ordine fondato da Ugolino – di poter vivere l’originalità carismatica dell’esperienza religiosa nata a San Damiano. Gregorio IX nel 1228 ottenne cosi “che la comunità di San Damiano venisse a pieno titolo annoverata tra i “suoi” monasteri che, forse in seguito al colloquio con Chiara, il papa cominciò a indicare con il nome di Ordo Sancti Damiani”. Ma l’iter istituzionale del nuovo Ordine non si era ancora concluso.

Nel 1230 i frati Minori chiesero a Gregorio IX un intervento per chiarire i punti dubbi e oscuri della Regola del 1223. II pontefice rispose con la Quo elongati che dedicava l’ultimo punto ai rapporti tra i frati e i monasteri femminili. II papa precisava che la disposizione del capitolo XI della Regola fosse estesa a tutti i monasteri delle monache. Ciò, ovviamente, contrastava con la prassi seguita dai frati nei confronti della comunità di San Damiano: d’ora in poi per i frati che devono entrare nei monasteri delle “povere monache recluse” è necessaria la licenza speciale della Sede Apostolica.

A questa disposizione, che limitava di molto la presenza dei frati nelle comunità femminili, Chiara reagì con forza, stando sempre a ciò che ci testimonia la Legenda sanctae Clarae virginis:

“Una volta il signor papa Gregorio aveva legiferato che nessun frate andasse ai monasteri delle donne senza sua licenza; dolente la pia madre che le sorelle avrebbero ricevuto più raramente il cibo della sacra dottrina, sospirando disse: “Ci tolga d’ora in poi tutti i frati, dacché ci ha tolto quelli che ci offrivano il nutrimento vitale”. E subito rispedì al Ministro tutti i frati, non volendo avere quelli che questuavano il pane materiale, dal momento che non aveva più gli elemosinieri del pane spirituale. Il papa Gregorio, udito questo, subito rimise nelle mani del Generale quel divieto”.

Per Chiara, dunque, l’identità di San Damiano era fortemente legata alla memoria di Francesco e delle origini francescane da una parte, e all’Ordine dei Minori dall’altra. Ma ciò contrastava con l’iniziativa papale che voleva inserire il nuovo monachesimo femminile nel solco della tradizione benedettina.

In questi anni difficili per Chiara e la sua comunità, frate Elia, ministro generale dell’Ordine minoritico, svolse un importante ruolo di sostegno e di difesa dell’identità francescana della comunità di San Damiano, promuovendone la diffusione anche fuori dell’Italia. Di ciò si ha conferma in alcune lettere scritte da Chiara ad Agnese di Boemia che dal 1234 era alla guida del monastero di San Francesco di Praga. Nella seconda lettera ad Agnese, Chiara le indica Elia come riferimento e consigliere superiore a chiunque altro nella difesa della sua vocazione “francescana”:

“Ma in questo, per camminare più sicuramente sulla via dei comandamenti del Signore, segui il consiglio del nostro venerabile padre, nostro fratello Elia, ministro generale; preferiscilo ai consigli degli altri e consideralo come il più caro dei doni”.

E che Elia fosse consigliere di Agnese, si deduce da una delle lettere che Gregorio IX invio alla badessa praghese per metterla in guardia dai suggerimenti di “qualcuno che forse ha lo zelo, ma non secondo la scienza”. Ciò che il papa non poteva accettare era l’assunzione da parte della comunità di Praga della forma vitae seguita a San Damiano: essa, infatti, doveva attenersi a quella elaborata dallo stesso pontefice, allora cardinale Ugolino. Nell’aprile del 1238, Gregorio IX aveva concesso alla comunità di Agnese il Privilegittm paupertatis, ribadendo però la sua volontà di non concedere un legame più diretto delle monache di Praga con quelle di Assisi. Anche questa vicenda, con molta probabilità, rese ancor più difficili i già tesi rapporti fra Chiara e il pontefice; rapporti che si deteriorano con la deposizione di frate Elia da ministro generale avvenuta nel 1239.

La situazione inizia a farsi più complessa e difficile da gestire a causa delle lamentele giunte a Gregorio IX nei confronti delle

“sorores minores, chiamate anche Minoretae, Cordulariae o Discalceatae, tutti termini che rimandano con sicurezza all’abbigliamento caratteristico dei frati Minori. Si trattava, evidentemente, di religiose che si rifacevano all’ideale “francescano”, ma che non osservavano la stretta clausura che caratterizzava l’Ordine di San Damiano” (M. P. Alberzoni).

Queste donne preoccuparono non solo la gerarchia ecclesiastica, ma gli stessi frati Minori che si videro sempre più caricati della cura spirituale di esperienze religiose solo “apparentemente francescane”.

La forma vitae clariana

II successore di Gregorio IX, Innocenzo IV, intervenne contro le sorores minores e tentò di risolvere la questione redigendo una nuova Forma vitae nella quale venne soppressa la menzione della Regola di san Benedetto, sostituita dalla Regola bollata dei Frati Minori del 1223, e che approvò 1’8 agosto del 1247. Ma neanche questa poteva soddisfare Chiara visto che “feriva profondamente il cuore della originaria ispirazione clariana con le disposizioni riguardanti la poverta”. Fu lo stesso Innocenzo IV, a distanza di qualche anno, ad ammettere pubblicamente il fallimento della sua forma vitae, che non trovò accoglienza neppure tra i monasteri dell’Ordo Sancti Damiani. Per questo motivo Chiara stessa si accinse a scrivere una Regola propria, che il cardinale Rinaldo di Jenne approvo con la lettera Quia vos, e lo stesso fece definitivamente Innocenzo IV il 9 agosto 1253, due giorni prima della morte della santa.

La morte e la canonizzazione di Chiara


Chiara muore l’11 agosto 1253, a San Damiano, dopo una lunga malattia durata più di ventotto anni. La Legenda S. Clarae virginis dedica gli ultimi capitoli del primo opuscolo alla narrazione della morte della santa, circondata dalle sue sorelle e da due dei primi compagni di Francesco, Angelo e Leone: “Sono presenti due compagni benedetti del beato Francesco, uno dei quali, Angelo, piangendo anch’esso, cerca di consolare le presenti in pianto; l’altro, Leone, bacia il giaciglio di lei prossima al commiato”. Questa testimonianza della leggenda ci aiuta a comprendere la profonda ed intima relazione che univa Chiara a questi frati, ma forse soprattutto questi socii di Francesco a Chiara, che con tenacia era riuscita a difendere la memoria e la proposta cristiana che il Poverello le aveva indicate La presenza di Angelo e Leone alla morte di Chiara e espressione del forte attaccamento di quest’ultima all’eredità di Francesco, della sua “nostalgia degli inizi”.

E, infatti, proprio negli ultimi anni della sua malattia che Chiara si impegna con tutte le sue forze a difendere e salvaguardare la sua scelta di vita evangelica contro la politica papale che tentava di uniformare l’esperienza di San Damiano a tutti i monasteri dell’Ordo Sancti Damiani, svuotandola cosi della sua originalità carismatica e del suo fondamentale legame con Francesco e l’Ordine minoritico. E stato ben osservato che “la solitudine nel difendere la memoria di Francesco che Chiara aveva vissuto si può ben cogliere anche nelle vicende legate alla sua morte. Al suo fianco c’erano, oltre alle consorelle, i superstiti socii di Francesco, non i rappresentanti del ministro generale o frati impegnati in alte cariche nell’Ordine”(M. P. Alberzoni).

L’incontro decisivo, quello con il papa Innocenzo IV, avvenne proprio negli ultimi giorni di vita di Chiara. Fu l’occasione propizia per chiedere al pontefice l’approvazione della Regola che lei aveva redatto in quegli anni per la sua comunità. Una richiesta molto esigente e coraggiosa quella di Chiara – solo qualche anno prima lo stesso papa aveva preparato una forma vitae per i monasteri dell’Ordo Sancti Damiani – che diceva il suo rifiuto della Regola innocenziana perché non pienamente fedele alla vocazione delle sorores de Sancto Damiano:

“II signor Innocenzo IV, di santa memoria, si affretta con i suoi cardinali a visitare l’ancella di Cristo, e non esita con la sua presenza papale a rendere veneranda la morte di colei di cui aveva encomiato la vita al di sopra delle donne del nostra tempo. Entrato in monastero si dirige al lettuccio, porge la mano da baciare alla bocca dell’inferma. Lei accetta con gratitudine la mano, ma con somma riverenza chiede di baciare il piede del Papa. Il curiale signore salito su di uno sgabello di legno benevolmente offre il piede; su di esso lei imprime baci sopra e sotto, e vi piega sopra con devozione il volto. Poi con volto angelico richiede al Sommo Pontefice la remissione di tutti i peccati. Egli mormora: “magari avessi io bisogno di un pari perdono!”. Le impartisce il dono della completa remissione e la grazia di un’ampia benedizione”.

La Legenda però non accenna all’approvazione della Regola di Chiara. Fortunatamente una delle testimoni al Processo di canonizzazione, sora Filippa di Leonardo di Gislerio, ce ne da testimonianza:

“Et nella fine de la vita sua, chiamate tucte le sore suoi, lo’ recomandò attentissimamente lo Privilegio de la povertà. Et desiderando epsa grandemente de havere la regula de l’ordine bollata, pure che uno dì se potesse ponere epsa bolla alla boccha sua, et poi de l’altro dì morire. Et como epsa desiderava, così lì adivenne, imperò che venne uno frate con le lectere bollate, le quale epsa reverentemente pigliando, ben che fusse presso alla morte, epsa medesima se puse quella bolla alla boccha per basciarla. Et poi lo dì sequente passò de questa vita al Signore la predicta madonna Chiara: veramente chiara, senca macula, senca obscurità de peccato, alla clarità de la eterna luce. La quale cosa epsa testimonia et tucte le sore et tucti li altri che cognobbero la sanctità sua tenghono indubitantemente”.

Ad Assisi, dunque, il giorno della morte di Chiara e del suo funerale era presente anche il papa insieme alla sua corte. In molti si recarono a San Damiano per dare l’ultimo saluto a Chiara e per custodirne e proteggerne il corpo, che tutti già consideravano preziosa reliquia della sua santità. Ecco quanto ci tramanda la Legenda:

“Immediatamente la notizia della morte della vergine colpì di indicibile commozione tutto il popolo della citta. Accorrono uomini, accorrono donne, sul posto, e in gran moltitudine straripa la gente, da sembrare che la città sia rimasta deserta. Tutti la gridano santa, tutti la proclamano cara a Dio, e tra espressioni di lode, non pochi piangono. Accorre il Podestà con un manipolo di cavalieri e caterva di armati; quella sera e per tutta la notte dispone attente sentinelle perché il prezioso tesoro che giaceva nel mezzo, eventualmente non soffrisse detrimento. Infatti era tanta la devozione del popolo verso le sacre spoglie che i signori cardinali e gli altri prelati della Chiesa mettevano nelle mani della vergine anelli preziosi, come se dal contatto delle sante dita acquistassero qualcosa di prodigioso”.

Lo stesso papa Innocenzo IV considerava a tal punto la santità di Chiara, che durante il funerale propose di celebrare l’ufficio delle Vergini al posto di quello dei Defunti:

“Il giorno seguente tutta la Curia si muove: il Vicario di Cristo con i cardinali si porta sul posto, e tutta la citta muove verso San Damiano. Si fu sul punto di celebrare il rito liturgico; mentre i frati stavano iniziando l’Ufficio dei morti, d’improvviso il Papa propone che più che l’Ufficio dei morti si doveva celebrare l’Ufficio delle vergini; cosicché sembrava che si dovesse canonizzarla prima che fosse data sepoltura al corpo”.

II papa fu invitato ad una maggiore prudenza dal cardinale Rainaldo di Jenne, perché il processo potesse seguire le sue vie consuete. Fu proprio durante il pontificato di Innocenzo IV, infatti, che la procedura per i processi di canonizzazione dei santi raggiunse la sua massima razionalizzazione e regolamentazione.

L’immagine di Chiara quale modello di santità

A due mesi di distanza dalla morte di Chiara, il 18 ottobre 1253, con la lettera Gloriosus Deus Innocenzo IV dava mandato al vescovo di Spoleto di aprire l’inchiesta per la canonizzazione della “povera dama”:

“Questa è quella sposa la quale, mentre che visse essendo morta al mondo, in tanto piacque ad Dio altissimo cum lj desiderij et opere de le virtù et cum lj studij delle sancte operatione, che da poj che essa felicemente ne morse, anci più presto se partì de questa mortale vita, la pietosa dignatione de lo omnipotente Dio, remuneratore de tuttj lj benj, la quale trapassa lj meritj et lj desiderij de quellj che el pregano, per la exaltatione del nome suo, lo quale è glorioso in secula, intercedentj ad presso de luj lj chiarj meritj de essa vergine Chiara, se dice concedere grande benefitij ad quellj che lj domandano, et dicese Dio operare in terra moltj et varij miraculj per lej e per lj suoj preghi.

Essendo adunqua assaj degna et debita cosa che sia honorata nella Chiesia militante, quella la quale la divina clementia se dice renderla venerabile allj suoj fidelj per lj donj de simile gratie et dignità de miraculj da essere honoratj, comandamo alia tua fraternita per lectere apostoliche, che recerchi de la vita, conversione et conversatione sua, et ancho dellj predictj miraculj et de tucte le circumstantie loro la verità diligentemente et sollicitamente, secundo le interrogatione, le quale te mandamo interclusi socto la nostra bolla. Et quello che sopra le predicte cose trovaraj, studiate de mandarle ad noj socto lo tuo sigillo, scripte fedelmente per publica mano, ad cio che l’anima de quella de la quale se crede già cum gaudio allegrarse in cielo cum la stola della immortalità, in questo mondo sia sequitata cum degne laude dalla multitudine dellj giustj”.

Dalla lettera Gloriosus Deus di Innocenzo IV emerge chiaramente la mancanza di una petitio da parte dell’Ordine minoritico o del vescovo di Assisi in favore della canonizzazione di Chiara. Come per Francesco, anche per Chiara e il papato a promuovere e ad interessarsi del processo per l’accertamento della sua santità, affidandone l’incarico al vescovo di Spoleto, Bartolomeo Accoramboni – che in quegli anni aveva giurisdizione religiosa ma anche civile su Assisi – perché raccogliesse testimonianze “de vita, conversione, conversatione et miraculis” della serva di Dio.

II riconoscimento della santità di Chiara offriva indubbiamente al papato la possibilità di dare un vigoroso impulso nell’opera di normalizzazione e uniformità della vita religiosa femminile: “con la sua morte e santificazione la donna di Assisi offriva alla Chiesa di Roma l’importante occasione per conferire finalmente fisionomia unitaria alla vita religiosa femminile ispirata all’ideale minoritico”(M. P. Alberzosi).

La Lettera di canonizzazione Clara claris praeclara, come la successiva Legenda sanctae Clarae virginis, non fa alcun riferimento all’approvazione della Regola di Chiara da parte di Innocenzo IV. Il documento pontificio dà una lettura sfumata dell’avvenimento identificando la stessa Chiara come “regola del modo di vivere” per le sue sorelle. Questo silenzio non e da sottovalutare se pensiamo a cosa significò e comportò per Chiara la lenta redazione e la definitiva approvazione della sua forma vitae. Dobbiamo essere molto grati a sora Filippa di Leonardo di Gislerio che ne fissa l’importante ricordo nella sua testimonianza al Processo di canonizzazione. L’omissione di un avvenimento di cosi grande valore e portata per Chiara e per la sua comunità non può non far pensare ad un silenzio voluto e pieno di significato, che può essere compreso solo alla luce della “storia intricata ed intrigante” di Chiara e di San Damiano da una parte, e dell’Ordo S. Damiani e del papato dall’altra:

“in tal modo, eccetto quelle persone che potevano avere notizia diretta del fatto, tutte le monache – ed erano la quasi totalità – che si avvicinavano a Chiara attraverso i documenti ufficiali non potevano sapere che, alla fine della sua vita, la loro “madre fondatrice” aveva redatto una propria “forma di vita”, ponendosi di fatto al di fuori dell’Ordo S. Damiani” (F. Accrocca).

La Regola di Urbano IV non fece fatica ad affermarsi e a sostituire quella di Chiara, dando cosi compimento alla politica papale di uniformare il tanto complesso e frastagliato “movimento religioso femminile francescano”. Felice Accrocca ritiene quello della Regola di Chiara un “oblio annunciato”, riconsiderando il silenzio che di essa fanno le fonti a cui abbiamo sopra accennato. E questo un aspetto della “questione clariana” che non ha ancora ricevuto tutta l’attenzione che merita da parte degli storici.

Quello della Regola di Chiara non e l’unico esempio di avvenimenti narrati durante il Processo e che non hanno trovato posto nella Clara claris praeclara. Anche la selezione dei miracoli operati da Chiara non e casuale: la Lettera privilegia esclusivamente le guarigioni delle sorelle di Chiara, cioè quelle avvenute all’interno del monastero, oltre a quella di frate Stefano che può essere considerato uno di famiglia dato il legame dei frati con la comunità di San Damiano. Scopo del documento pontificio è quello di ribadire la condizione di reclusa della santa e obliterare qualsiasi legame o rapporto intercorso fra lei e il mondo esterno al suo monastero. Neppure gli episodi della difesa di San Damiano dai saraceni e della liberazione di Assisi dalle truppe imperiali per intercessione di Chiara – nonostante ben dieci sorelle su quindici testimoniarono questi eventi al Processo – vengono riportati nella Clara claris praeclara, perché davano una immagine della santa concretamente inserita nelle vicende storiche della sua citta e perciò non conforme al modello della vita nascosta e silenziosa che la Lettera stava proponendo. Anche il desiderio di martirio che Chiara manifestò con la volontà di andare in Marocco non ha trovato posto nella lettera di canonizzazione, perché sicuramente assurdo e inconciliabile con il tenore della sua vita reclusa.

Per concludere

Solo dieci anni dopo la morte di Chiara, le sorores finirono per abbandonare l’osservanza della Regola scritta dalla loro fondatrice per assimilarsi in tutto all’Ordo Sanctae Clarae, istituito nel 1263 da Urbano IV per mettere fine alla confusione giuridica che caratterizzava le comunità delle damianite. “Con la Beata Clara il francescanesimo femminile veniva in tutto conformato alle precedenti esperienze monastiche, e non si trovano più accenni al primitivo ideale pauperistico. Anche il monastero di San Damiano non poté sottrarsi all’indirizzo impresso dall’autorità ecclesiastica in pieno accordo con l’Ordine francescano”. Tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento anche il monastero di Assisi accoglie la regola urbaniana e, con essa, il diritto a detenere proprietà sancendo cosi il definitivo abbandono del Privilegium paupertatis, per il quale Chiara, resistendo anche ai pontefici, aveva lottato fino alla morte per essere fedele alla vocazione che Dio le aveva manifestato nel suo servo Francesco.

Marco Guida, ofm

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