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Il Crocifisso di S. Damiano in Assisi

L’icona

Si tratta di un’icona scritta come si suppone da un monaco siriano nel XII secolo (è attestata in questo periodo la presenza di monaci siriani nella Valle Spoletina) e venerata inizialmente nella chiesetta di S. Damiano, per essere poi (1265) trasferita nella basilica di S. Chiara, quando vi presero dimora le Clarisse. Misura 210×130 ed è dipinta su tela grezza incollata su legno di noce.

Si ispira al Vangelo di Giovanni, che nel Cristo crocifisso ci presenta il Cristo glorioso (Rex gloriae), sovrastato dalla scritta: “Gesù Nazareno (scritto con il monogramma IHS) re dei Giudei”. Egli è il Vivente (occhi aperti) e conserva soltanto le piaghe che ricollegano il crocifisso al risorto. Ha le braccia allargate verso l’umanità. Si staglia sullo sfondo nero della morte ed è incorniciato da una linea rossa, che rappresenta il fuoco dello Spirito.

I lineamenti del capo, nell’arte iconografica, ne fanno l’espressione di un tempio: arcate degli occhi, calotta della fronte, naso quasi fosse la colonna che le regge. L’aureola e il volto sono come avvolti da una velo, a indicare la “carne” che occulta la divinità (si ricordi l’episodio della Trasfigurazione, quando questo velo scomparve). All’interno dell’aureola si trova delineata la croce con la scritta che indica il nome divino (Colui che è). Sulla fronte sembra abbozzato il simbolo dello Spirito santo, la colomba. Il collo è turgido in quanto Cristo risorto trasmette il suo soffio di vita, il suo Spirito. Questo particolare alle volte è indicato anche dalla bocca socchiusa. Gli occhi del Salvatore sono puntati fra cielo e terra e ce lo presentano come mediatore. Nel contempo la fissità dello sguardo richiama l’eternità.

Nel suo corpo si notano delle linee entro cui è possibile discernere due profili, quello del Padre nello spazio superiore (testa voltata verso il lato sinistro di Gesù) e in analoga attitudine quello del Figlio nello spazio inferiore, che si presenta come un cerchio, figura che indica perfezione, eternità. Cristo è ricoperto da un perizoma di lino ornato d’oro molto succinto, che richiama le vesti sacerdotali (1’ d’od), secondo quanto si legge nell’Antico Testamento. Cristo si presenta quindi come sommo sacerdote. I lineamenti del corpo ce lo raffigurano trasfigurato e quindi glorificato. Ma poiché richiama il Crocifisso vittorioso sulla morte, conserva le piaghe dalle quali sgorga il sangue, prezzo della nostra salvezza. La sua figura non è appesa ai chiodi, ma si staglia sul legno della croce, eretta.

L’intera icona è circondata da conchiglie, simbolo di bellezza e di eternità. La base ne è sprovvista, quasi fosse via di accesso alla grazia che Cristo ci dona. La sua statura ne indica la trascendenza e la maestà.

I personaggi — si noti come l’autore ama raffigurarli in coppia e in atteggiamento di amorevole concordia — che stanno sotto le sue braccia, tutti immersi nella luce, sono:

  • Maria Vergine, nella tipica attitudine meditativa (mano al volto) mentre addita il Cristo. È ricoperta da un manto bianco (l’abito dei puri e degli eletti, dei vincitori, dei giusti che hanno bene operato) sul quale si trovano dipinte delle perle preziose. L’abito rosso scuro richiama la dignità regale e l’intensità dell’amore. Quello viola il rivestimento interno dell’Arca dell’alleanza: Maria è l’Arca, nel cui grembo è stato concepito l’Autore della nuova Alleanza;
  • Giovanni evangelistale sta accanto con un abito rosa, colore che tradizionalmente indica la sapienza. È rivolto a Maria e nel contempo indica il Cristo. I loro volti sono carichi di tenerezza e di ammirazione;
    • Maria Maddalena, avvolta in una tunica rossa (l’amore) è meditabonda essa pure, e si trova girata verso
    • Maria madre di Giacomo, cugino di Gesù, cui sembra confidare un messaggio (di Cristo risorto?);
    • il Centurione ai piedi della croce riconosce la divinità di Gesù e nell’icona proclama la fede nella Trinità (le tre dita). Tiene in mano un mattone, che ricorda la costruzione della Sinagoga di Cafarnao. L’iconografo ha fuso in una sola persona due diversi personaggi! Alle spalle si trova il figlio/servo con altre tre teste che indicano i servi che lo avevano raccomandato al Signore o la sua famiglia che abbracciò la fede. È l’immagine della Chiesa nascente! Di tutti questi personaggi l’icona registra il nome.

Ai lati inferiori dei personaggi suddetti, se ne trovano altri due (più piccoli, quasi a indicarne il ruolo decisivo ma trasceso dai disegni divini): sono i protagonisti del processo e della condanna di Cristo e richiamano il mondo pagano e quello giudaico:

  • ai piedi della Madonna e a destra del Cristo, ossia dal lato dei salvati, è raffigurato, come dice la scritta, Longino, il soldato romano che riconobbe la divinità di Gesù morente.
  • ai piedi del Centurione e quindi dal lato sinistro del Cristo, è presente un giudeo (anonimo — anche se la tradizione gli ha assegnato il nome di Stefanon —, quasi a impersonare coloro che avevano intentato il processo a Gesù!). A differenza di tutti gli altri personaggi, costui è ritratto con il volto arcigno e di profilo, dato pittorico che nell’iconografia indica negatività: lo ritroviamo a esempio in Giuda nell’ultima Cena. Il suo abito si differenzia da tutti gli altri perché di colore oscuro, non raggiunto dalla luce che si irradia dal Risorto. Questa lettura è debitrice delle fonti evangeliche e del contesto storico in cui è stata prodotta l’immagine. In ogni caso la meditazione ci porta a interrogarci se noi pure rifiutiamo la croce!

Vicino alla gamba sinistra di Gesù si riscontra un gallo, immagine del giorno che spunta (“ales diei nuntius”) e quindi di Cristo che è la Luce del mondo. A differenza di Pietro che misconosce il suo Signore, il gallo riconosce il sorgere del giorno e simboleggia l’annuncio del Risorto, luce del mondo.

Ai piedi del Crocifisso ci sono figure umane “anonime” che raffigurano la Chiesa, costruita sulla roccia (visibili tracce sottostanti). Poiché sono aureolati, si pensa a dei santi: Cosma e Damiano, titolari della chiesetta? Oppure Pietro e Paolo che san Francesco “venerava con devozione fervidissima”? Dal momento che l’icona era appoggiata sull’altare (lo si deduce dalla raffigurazione di Giotto nel ciclo della Basilica superiore), la devozione dei fedeli che la baciavano ne ha usurato il dipinto.

Risalendo troviamo, sotto le braccia di Cristo, due coppie di angeli che additano il mistero della croce e nel contempo esprimono comunione tra di sé.

Ai lati le due figure umane (non sono angeli, poiché privi di ali) possono richiamare l’Annunciazione (ossia l’incarnazione del Verbo: l’angelo di sinistra sembra avere una spalla scoperta dal manto e un piede leggermente sollevato, il che lo presenterebbe in azione, mentre Maria è raffigurata in attitudine contemplativa). Padre Rainero Cantalamessa vi ravvisa invece (con poca probabilità, peraltro: si veda sopra la figura del giudeo) i simboli rispettivamente della Chiesa e della Sinagoga.

Nel tondo che sovrasta il Crocifisso, su uno sfondo rosso è raffigurata l’Ascensione. Cristo, avvolto in un manto regale dorato e dal volto sorridente, è caratterizzato da un movimento di slancio, quasi di danza, ed è circondato da figure angeli (si notino le coppie), adoratori della divinità, che lo accolgono gioiosi, come indica la posizione delle mani. Porta sopra le spalle la stola rossa, segno della dignità sacerdotale e nel contempo segno del dominio universale nell’amore. Ha nella mano la croce, strumento di vittoria.

Nella lunetta è visibile la mano benedicente del Padre: le due dita esprimono il fatto che le benedizioni divine sono legate al mistero dell’incarnazione (la divino-umanità del Salvatore).

L’icona richiama l’intero mistero cristologico: Incarnazione; Morte, Risurrezione, Glorificazione. È come la porta di ingresso alla contemplazione, cui è destinata.

Da notare infine che l’icona costituisce una sorta di rovescio della medaglia delle raffigurazioni del Crocifisso proprie dell’arte occidentale di quell’epoca, che ama sottolineare il dramma della Passione.

 

Un po’ di storia

Il Crocifisso di S. Damiano è legato all’esperienza di san Francesco d’Assisi.

Nella Vita seconda o Memoriale del Celano si legge:

«Francesco era già del tutto mutato nel cuore e prossimo a venirlo anche nel corpo, quando un giorno passò davanti alla chiesa di S. Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti. Condotto dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è così profondamente commosso, all’improvviso — cosa da sempre inaudita! — l’immagine di Cristo crocifisso dal dipinto gli parla, muovendo le labbra. “Francesco — gli dice chiamandolo per nome, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. Francesco è tremante e pieno di stupore, e quasi perde i sensi a queste parole. Ma subito si dispone a obbedire e si concentra tutto su questo invito. Ma, a dire il vero, poiché neppure lui riuscì mai a esprimere l’ineffabile trasformazione che percepì in se stesso, conviene anche a noi coprirla con un velo di silenzio» (FF 593-95). L’episodio risale al 1206.

A questo evento si riferisce anche santa Chiara nel suo Testamento, mostrando come esso non fu decisivo soltanto per il Poverello, ma anche per le “Sorelle povere di S. Damiano”, come erano dette. Vi si legge: «Mentre (Francesco) che non aveva ancora né frani, né compagni, quasi subito dopo la sua conversione era intento a riparare la chiesa di S. Damiano, dove, ricevendo quella visita del Signore nella quale fu inebriato di celeste consolazione, sentì la spinta decisiva ad abbandonare il mondo, in un trasporto di grande letizia e illuminato dallo Spirito santo, profetò a nostro riguardo ciò che in seguito il Signore ha realizzato» (FF 2826-27; cf 1411; 1415).

Come si vede l’evento di S. Damiano è considerato sotto un duplice punto di vista relativo personalmente a Francesco e alle sue discepole. Lo stesso Francesco ne aveva profetizzato la nascita in quel luogo: «Sappiate che qui sorgerà un monastero di signore e per la fama della loro santa vita sarà glorificato in tutta la Chiesa il Padre celeste» (FT’ 1426).

Ciò che spiega ulteriormente la portata di queste affermazioni in riferimento al ramo femminile si può cogliere attraverso un particolare iconografico della raffigurazione giottesca, nella Basilica superiore di Assisi, relativa all’episodio del Crocifisso parlante. La volta dell’abside infatti raffigura sei candelabri. Quale senso possono rivestire? Le fonti francescane parlano a più riprese di una visione della madre di Chiara, Ortolana, parallela a quella di Francesco. «Quando era gravida di lei, andò nella chiesa, e stando davanti alla croce … udì una voce che le disse: “Tu partorirai un lume, che molto illuminerà il mondo”» (FF 2994, e analogamente altra deposizione al processo della canonizzazione della santa, 3035. Ne riparla la Leggenda di santa Chiara, 3156 e la bolla di canonizzazione, 3310). Sappiamo che Chiara venne ben presto raggiunta in S. Damiano dalla madre, dalle sorelle Agnese e Beatrice e dalle nipoti Balvina e Amata. Così ne parla il Celano: «La madre invita a Cristo la figlia e la figlia la madre, la sorella attira le sorelle e la zia le nipoti. Tutte, emulandosi nel fervore, bramano porsi al servizio di Cristo» (C. Frugoni. Storia di Chiara e Francesco, Torino 2011, pp. 93-101).

Chiara si ascrisse diciottenne alla milizia di Francesco la notte del lunedì santo del 1211(29 marzo) o del 1212 (18 marzo) alla Porziuncola, ora inglobata nella basilica di S. Maria degli Angeli, dove le venne tagliata la fluente chioma e ricevette l’abito monastico.

Dimorò in S. Damiano per 42 anni, con 50 compagne e mori 11 agosto del 1253.