Squarci di Eucaristia in Chiara d’Assisi

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UN “CORPO DATO”… UN “SANGUE VERSATO”. 

Una sola volta nei suoi scritti Chiara di Assisi fa esplicito riferimento all’Eucaristia, quando nel terzo capitolo della Regola (cf. RegSCh. III,14: FF 2770), trattando della vita di preghiera, enumera le sette volte in cui alle sorelle è dato di comunicarsi: norma che se ai nostri occhi appare estremamente restrittiva, era ben lontana dall’esserlo ai tempi di Chiara e di Francesco.

Per incontrare altre sue parole sul mistero del Corpo e del Sangue del Signore dobbiamo rifarci alle testimonianze delle sue sorelle al Processo: a sora Francesca di Capitanio di Coldimezzo, nona testimone, che ha il privilegio di vedere sul capo della Madre che ha appena ricevuto l’Eucaristia, in mezzo ad “uno splendore molto grande”, “uno mammolo piccolo e molto bello”; e ode le parole di Chiara, sussurrate tra le lacrime: “Tanto benefizio me ha dato oggi Iddio, che el cielo e la terra non gli si potrebbero pareggiare” (ProcCan. IX,10: FF 3068). O a sora Filippa di Leonardo di Gislerio, che racconta la gioia di Chiara, ormai al termine della vita, per aver nello stesso giorno ricevuto il suo Signore nel Sacramento dell’altare e meritato di vederne il Vicario, papa Innocenzo IV giunto in fretta ad Assisi: “Figliole mie, rendete laude a Dio, però che el cielo e la terra non basterà a tanto benefizio che ho recevuto da Dio…” (ivi III,24: FF 2990)1.

Altre parole non abbiamo. E può apparire strano, per una santa che l’iconografia raffigura tradizionalmente con l’ostensorio in mano, in memoria di quel giorno del 1240 in cui “una voce, come di bimbo”, è risuonata dal ciborio – unica difesa di fronte all’incalzare dei Saraceni nel chiostro di S.Damiano – rassicurando: “Io vi custodirò sempre!” (LeggSCh. 22: FF 3202).

Non si stupisce però il biografo di Chiara, che nella Leggenda osserva: “Quanto fosse intenso l’amore di devozione di santa Chiara verso il Sacramento dell’altare, lo dimostra l’effetto” (effectus ostendit: ivi 28: FF 3209). E a conferma della sua lapidaria affermazione parla – nel capitolo dedicato alla devozione per l’Eucaristia, non in un contesto di lavoro, o di povertà – di Chiara inferma, che si fa sollevare e sorreggere sul giaciglio e si mette a filare tessuti e a tessere corporali per le chiese intorno ad Assisi. A cosa sarà andato – è lecito chiederci – il pensiero di Chiara, mentre il filo scorreva tra le sue mani e sorella infermità era la più fedele delle compagne?

“Quando poi stava per ricevere il Corpo del Signore, versava prima calde lacrime e, accostandosi quindi con tremore, temeva Colui che si nasconde nel Sacramento non meno che il Sovrano del cielo e della terra” (ib.: FF 3210);

“Con grande devozione e tremore pigliava spesso lo santo sacramento del Corpo de nostro Signore Iesu Cristo, in tanto che, quando essa lo pigliava, tutta tremava” (ProcCan. II,11: FF 2954);

“Specialmente effundeva molte lacrime quando receveva el corpo del nostro Signore Iesu Cristo” (ivi III,7: FF 2973),

ci viene detto di lei. E basta a svelare una vita divenuta essa stessa eucaristia.

“VIVENDO, LA TUA VITA SIA LODE DEL SIGNORE” (IIILett. 41)

Mancano – si è visto – espliciti riferimenti all’Eucaristia, in Chiara; ma quanto insiste, con la parola e ancor più con l’esempio della vita, sulla comunione vitale con il Signore e delle sorelle tra loro, comunione che deve incarnarsi in autentiche “opere” di fraternità, di carità, di servizio! Come Giovanni, che non si preoccupa, unico tra gli evangelisti, di narrare l’istituzione dell’Eucaristia, ben conosciuta dalla primitiva comunità cristiana, ma si sofferma piuttosto sul gesto compiuto da Gesù all’inizio della cena. Un gesto di umiltà, di donazione, di servizio concreto, che qualificherà nei secoli i suoi discepoli: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,14-14). La sequela del Signore va vissuta nella Chiesa, sino al dono della vita, per Lui e per i fratelli: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (ivi 15,13).

E Chiara, “umilissima e indegna ancella di Cristo e serva delle Donne Povere” (IIILett. 2: FF 2883), come lei stessa si definisce, ha due mani, che nel cuore della Chiesa hanno fretta di annunciare e di far memoria del Sacramento dell’amore di Cristo “sino alla fine” (Gv 13,1), incarnando il Dono ricevuto nella trama dei giorni e celebrando l’Amore come evento che continuamente trasforma la vita di ogni sorella e della comunità intera: “Amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, quell’amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere, affinché le sorelle, provocate da tale esempio, crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità” (TestSCh. 59-60: FF 2847) e “risplendano come specchio ed esempio per coloro che vivono nel mondo” (ivi 20: FF 2829). Le sorelle sono un dono del Signore (cf. ad es. TestSCh. 25: FF 2831) ed ogni volta, al sacrificio dell’altare, le mani si fanno conca vuota, libera di accogliere in dono il mistero sempre nuovo di ogni sorella; come dice sant’Agostino: “se voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi stessi: voi ricevete il vostro mistero”.

Due mani così ha la Chiesa, che nella partecipazione al “Corpo dato” e al “Sangue versato” trova l’origine e la giustificazione di ogni autentica solidarietà, nel Signore Gesù che si è consegnato agli uomini “svuotandosi di Sé” (cf. Fil 2,7): da Lui, unico “Salvatore del mondo” (Gv 4,42; 1Gv 4,14), la fedeltà alla stessa Sua missione, l’incontenibile volontà di raggiungere tutti, perché tutti abbiano la salvezza. La Chiesa, che ad ogni Eucaristia si fa sempre più Chiesa, Sposa amata, Corpo di Cristo, stessa Sua Carne, non può dimenticare di essere la Sposa immacolata e bellissima del Re e “universale sacramento di salvezza”, mai, neppure quando le debolezze e le insufficienze dei suoi figli la fanno apparire poco incisiva e credibile. Sa di essere “Eucaristia ‘sbocciata’, il nuovo popolo di Dio (che) nasce e attinge sempre di nuovo la sua vita dalla celebrazione del sacrificio eucaristico”, mistero di comunione che supera gli stessi limiti dello spazio e del tempo; e sa che lo Spirito, che cambia il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, muta profondamente anche gli uomini convenuti intorno all’altare, rendendoli un solo corpo e un solo spirito, quelli del Signore Gesù: se solo l’Amore è accolto dall’amore e la comunione è desiderata, mendicata da mani di poveri. Come non bruciare, tutti, del desiderio di rendere pura e santa la propria vita, perché nessuna macchia offuschi ed attenui davanti agli uomini l’incontaminata bellezza della propria Madre?

“Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57). Ha due mani, Chiara, che non possono posarsi in nessuna dimora di quaggiù, ma che si levano incessanti al cielo, ad implorare che Egli venga. La Sua promessa – “Sì, verrò presto!” (Ap 22,20) – basta a sostenere quelle mani: “Correrò, senza stancarmi mai, finché tu mi introduca nella cella del vino, finché la tua sinistra sia sotto il mio capo e la tua destra mi abbracci felicemente e tu mi baci con il felicissimo bacio della tua bocca” (IVLett. 31-32: FF 2906).

“Alza verso di Lui le mani per la vita dei tuoi bambini, che muoiono di fame all’angolo di ogni strada” (Lam 2,19). Mani che dicono per tutti la nostalgia di un Padre cui rendere l’obbedienza della vita e di un Signore cui aderire con tutte le fibre dell’essere, che danno vita a Gesù nel cuore di ogni uomo, diventando madri di Gesù in lui e seminandovi il suo Nome. “Con sollecita disponibilità ed applicazione di spirito e di corpo” (cf. TestSCh. 18: FF 2828), nello scorrere dei giorni Chiara si assimila sempre più al Figlio nel nutrirsi della “volontà del Padre” (cf. Gv 4,34): l’eterno e unico “disegno… di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,10); vive l’attesa dell’uomo e dell’intera creazione, salvati nella speranza, che gemono e soffrono “nelle doglie del parto” (cf. Rm 8,24.22), finché il Signore Gesù tornerà per consegnare il cosmo al Padre, “perché Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28).

Così la Chiesa è già sacramento del Regno, ma cammina verso il Regno; è già possesso dei beni sperati, ma non si dà pace finché l’ultimo dei suoi figli non si sappia immagine del Figlio di Dio ed assapori la pienezza della vita ecclesiale. Ad ogni nuova Eucaristia l’eternità entra nel tempo, dando inizio ad una nuova creazione, ad una nuova storia, in cui tutto l’uomo, nelle sue diverse età e dimensioni di vita, è offerto con Cristo al Padre: è la forza della Pasqua, che in ogni angolo della terra rende la Chiesa presenza inquietante e rinnovatrice, “finché Egli venga…” (ivi 11,26).

“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova” (2Cor 5,17). Da ogni Eucaristia si sprigiona questa energia della Pasqua del Signore, capace di ricreare la Chiesa che si nutre della sua Carne e del suo Sangue, di renderla “creatura nuova”, con la mentalità, il noûs stesso del Signore Gesù: “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16). Dove entra la vittoria pasquale, tutto – anche la sofferenza e la morte – è trasfigurato, trova un senso e una positività; “l’uomo spirituale – guidato dallo Spirito di Dio (cf. Rm 8,14) – giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor 2,15), dice san Paolo, ed è “normale” che i giudizi e le scelte del popolo dei redenti appaiano per lo meno incomprensibili e sconcertanti a chi ragiona solo con la logica dell’“uomo naturale” (cf. ivi 2,14). Chi vive e cammina secondo lo Spirito (cf. Rm 8,4-5) è anzitutto persona “eucaristica”, che rende “continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (Ef 5,20), che manifesta la potenza e la gloria di Dio nel mondo e nella storia. “La religione che si fonda in Gesù Cristo è religione della gloria, è un esistere in novità di vita a lode della gloria di Dio” (Lettera apostolica di GIOVANNI PAOLO II, Tertio millennio adveniente 6. 12).

Così Chiara: due mani che si quietano, in una vita che è “a lode della sua gloria” (Ef 1,12). Ha scritto il Giovanni Paolo II delle claustrali, nell’Esortazione apostolica Vita consecrata: il “modo particolare di donare il ‘corpo’, le immette più sensibilmente nel mistero eucaristico. Esse si offrono con Gesù per la salvezza del mondo. La loro offerta, oltre all’aspetto di sacrificio e di espiazione, acquista anche quello di rendimento di grazie al Padre, nella partecipazione all’azione di grazie del Figlio diletto” (n. 59).

E le parole di Chiara sono tutte un fervente invito alla lode del Signore: “Siamo molto tenute a benedire e a lodare Dio ed a rafforzarci sempre più nel fare il bene nel Signore” (TestSCh. 22: FF 2830); sono un’incessante testimonianza ed augurio di gioia: “Sono ripiena di gaudio nel Signore e gioisco” (ILett. 3: FF 2860), “esultate e gioite molto, ricolma di immenso gaudio e di letizia spirituale” (ivi 21: FF 2865), “davvero posso rallegrarmi,… poiché ho raggiunto ciò che ho ardentemente desiderato sotto il cielo” (IIILett. 5-6: FF 2885), “chi potrebbe dirmi… di non godere per così mirabili motivi di gioia?” (ivi 9: FF 2887). E ancora:

“Veramente felice colei a cui è dato di godere di questo sacro convito, per aderire con tutte le fibre del cuore a Colui la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo. L’amore di Lui rende felici, la contemplazione ricrea, la benignità ricolma; la sua soavità sazia l’anima, il ricordo di Lui brilla dolce nella memoria” (IVLett. 9-12: FF 2901).

Non vi è più distinzione tra dolore e gioia, perché entrambi abitano l’unica volontà d’amore del Padre: “Nessuno mi stia a nominare più patire; ma si dica e si nomini sempre gioia”, esclamerà, secoli più tardi, Veronica Giuliani, figlia di Chiara. “Non è altro la vera laude se non uno sgorgamento dell’anima che esce di fuori”, diceva san Bernardino da Siena: da un cuore sopraffatto dall’Amore, sgorga naturale la lode.

La vita di Chiara, nel non trattenere nulla per sé (cf. LettOrd. II,29: FF 221), nell’andare veloce verso di Lui, alla ricerca della “città futura”, è un continuo “sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome” (cf. Eb 13,13-15). Nell’eucaristia della vita tutto, ogni realtà, persona, situazione, ritorna al punto di partenza, al Padre; ed anche il creato è coinvolto nell’offerta di restituzione, ha in sé una precisa “potenzialità eucaristica”: “anche la realtà cosmica è convocata al rendimento di grazie, perché tutto il cosmo è chiamato alla ricapitolazione nel Cristo Signore…, è destinato ad essere assunto nell’Eucaristia del Signore, nella sua Pasqua presente nel sacrificio dell’altare” (Lettera apostolica di GIOVANNI PAOLO II, Orientale Lumen 11. 13).

“Altissimu, onnipotente, bon Signore,

Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se Konfane,

et nullu homo ene dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature…” (CantSol. 1-3: FF 263),

canta Chiara, con Francesco, perché l’intera, immensa armonia dell’universo è nelle sue mani e rende gloria al Padre dei cieli. “Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano: ‘A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli’” (Ap 5,13).

Suor Maria Emanuela Cavrini osc

[Fonte: Rivista “Forma Sororum”, 4/1997]