Giuseppe è colui che “prese con sé” il Bambino Gesù e Maria sua sposa.

Oggi la Chiesa celebra la Solennità di san Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria: uomo giusto, nato dalla stirpe di Davide, fece da padre al Figlio di Dio Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre. La Chiesa con speciale onore lo venera come patrono, posto dal Signore a custodia della sua famiglia (Martirologio Romano). Riportiamo una interessante meditazione di p. Giancarlo Rosati.

Giuseppe è il padre legale di Gesù, vero padre, perché ha cresciuto Gesù come uomo, l’ha “generato” come uomo, l’ha reso adulto, maturo, l’ha aperto alla vita, al sacrificio, al mondo.

Sa farsi carico di un progetto che non era il suo, ma che lo diviene, perché lo “prende con sé”: “prese con sé la sua sposa”(Mt 1, 24); “«Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele”. (παραλαμβάνω: prendere con sé, accogliere a sé, vicino a sé, unire a sé. Cfr Gv 14,3; 1,11; Mt 24,40s.; Lc 17,34s.; Col 2,6). Tutte le volte che Giuseppe viene menzionato nel Vangelo di Matteo, egli è colui che si fa carico del compito di custodire, accompagnare la madre e il bambino, “prendere con sé” il Bambino Gesù e Maria sua sposa.

Spesso si ritrova ad agire di “notte”: simbolo di oscurità, non vede tutto chiaro, deve fidarsi di chi lo guida, di una parola che gli viene rivolta, della responsabilità di cui è investito. Allora Giuseppe è anche l’uomo dell’ascolto fiducioso, della fede e dell’obbedienza: “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”(Mt 1,24). L’ età adulta è l’età dell’ascolto e dell’obbedienza, perché è l’ età della responsabilità piena; perciò l’obbedienza non è una virtù “infantile”, ma è segno di stabilità interiore, di libertà di potersi concentrare sull’ essenziale, perché non si ha più bisogno di prendere le distanze dagli altri per essere se stessi (come per un adolescente/giovane ribelle e in lotta per affermare se stesso). A 40 anni devi aver capito chi sei e che cosa vuoi. Un detto: “Chi non è rivoluzionario a 20 anni è senza cuore, chi lo è ancora a 40 è senza testa”. Obbedire alla vita, al dovere di guadagnarsi il pane, obbedire alla volontà di Dio, che è sempre a tuo favore e non è mai troppa.

San Francesco alla fine della vita (morto a 44 anni) nel suo Testamento lo dice chiaramente: “E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l’obbedienza e la sua volontà, perché egli è mio signore” (Test 33-34). San Francesco è al culmine della sua maturità, ha dato tutto, si è fatto carico di migliaia di giovani divenuti suoi discepoli, di situazioni ecclesiali e civili difficili (pensate alle crociate), era un’autorità morale e spirituale riconosciuto da tutti, eppure vuole obbedire, ha paura di essere schiavo di se stesso, dei propri automatismi, dei meccanismi istintivi (ho voglia/non ho voglia, mi piace/non mi piace, mi interessa/non mi interessa, mi conviene/non mi conviene, lo sento/non lo sento…).

Giuseppe di Nazareth è anche l’uomo dei sogni. Contrariamente a quanto a volte si pensa – che cioè nell’età adulta si sono smarriti i sogni, gli entusiasmi propri della giovinezza. Ai giovani si dice: divertiti adesso perché poi la vita è dura, piena di doveri, sottoposta alla routine, ripetitiva, grigia, tutta dedita al lavoro, ai problemi da risolvere… Devi trovare un orizzonte verso il quale sei attratto, devi trovare una fonte fresca da cui alimentare la tua vita e la tua sete. Giuseppe, adulto, non ha smesso di essere l’uomo dei sogni, come i giovani, non ha smesso di cercare e accettare un progetto misterioso con cui Dio vuole riempire la sua vita e attraverso di lui donarsi atanti altri. Giuseppe non guarda al passato, né si appiattisce sul presente, ma accetta da Dio un futuro sempre grande e nuovo.

L’uomo maturo incarna un’idea antitetica a quella della mentalità così diffusa oggi, diffusa e sterile. L’idea che abbiamo oggi dell’adulto è che basta a se stesso e che non deve chiedere niente a nessuno, l’uomo che si è fatto da solo, l’uomo che non deve mai manifestare il suo limite, i suoi bisogni, le sue necessità. Adulto invece è colui che ha capito che la vita non se l’è data da solo, che la vita non è “sua”, quindi non la può vivere per sé solo, sa farne dono, sa vivere per qualcuno. È uno che non “pretende” dagli altri, ma è disponibile al dono di sé. Adulto è uno che sa portare i pesi, perché sono i pesi che lo portano. Le ali di un volatile appesantiscono il volatile, ma lo sorreggono e lo portano. Le ali dell’aereo appesantiscono l’aereo, ma lo portano. E’ quanto dice Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”(Mt 11,29-30). La croce pesa ma ci porta. (Un giorno di chemio, offerto per…, diventa dolce!).

L’età adulta è quella della responsabilità piena, nella quale si consolida la scelta giovanile, si accetta di vivere secondo il “principio della realtà”. La crescita e la maturità di un individuo si caratterizzano per l’acquisita capacità di abbandonare un piacere momentaneo e incerto nelle sue conseguenze, per conseguire in avvenire un piacere più sicuro (la stabilità affettiva nel matrimonio, la bellezza di avere figli, la perseveranza nella vocazione alla vita consacrata, la stabilità delle amicizie, la fedeltà…). Non si può vivere senza piacere, ce lo dice anche San Tommaso d’Aquino, ma dipende da ciò che ti piace. È lì il problema, perché ci sono cose che ti piacciono, ma che poi ti lasciano il vuoto, più vuoto di prima, come il fare di testa propria, come la droga, la sessualità vissuta male. La maturità consente di distinguere la realtà dalle fantasie e dai desideri. Qui comanda l’io veramente libero. E se non è libero (ma chi è veramente libero?) sente il bisogno di vincolarsi, accetta i legami (i voti per i consacrati, il legame matrimoniale per chi si sposa, assunzione di responsabilità). “Non è inutile, a questo scopo, un breve richiamo ad Aristotele. Aristotele infatti, contraddicendo il senso comune, spiega che lo schiavo è colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi. L’uomo libero invece è colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri…” (famiglia, cittadinanza, lavoro …) (M. Banasayag-G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, p. 101). Si può ricordare Ulisse all’isola delle sirene, bellissime, dalla voce che canta e affascina, ma ferocissime, che sbranano coloro che si avventurano sulla loro isola: Ulisse si fa legare all’albero della nave e si salva. I legami ti salvano, ti tengono in piedi, impediscono la tua morte, ti impediscono di regredire all’adolescenza, all’infantilismo, ti fanno crescere, ti sorreggono. Tempo della responsabilità piena: tempo dei legami, per mantener fede agli impegni presi, dare la vita per qualcuno, non vivere solo per se stessi.

L’adulto è aperto alla trascendenza, non si arresta alla superficie delle cose, ma sente che c’è altro, oltre, più in profondità. Si apre al Mistero, a qualcosa di grande che non dipende da lui e che percepisce come ragione del tutto. E scava anche nei suoi desideri. Non si accontenta facilmente, di ciò che è più facile, più immediato. “Se le persone non trovano quello che desiderano, si accontentano di desiderare quello che trovano” (M. Banasayag-G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, p. 101). “Chi si accontenta gode?” Chi si accontenta… si accontenta, ma non gode!

San Giuseppe, Maria di Nazareth: persone adulte (seppur giovani) nella fede e mature umanamente. Si lasciano guidare dall’obbedienza della fede (cfr. Rom 1,5; 16,26). Queste sono le persone coinvolte nel Regno di Dio. Di queste persone c’è bisogno: per famiglie nuove, per la politica, per l’educazione, per la comunicazione… Di queste persone Dio si serve per portare avanti il suo progetto di salvezza.

Fr. Giancarlo Rosati ofm

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